L’Isis nella sua versione afghana, Isis Khorasan, torna a colpire e il bilancio è pesantissimo: 60 afghani morti, centinaia di feriti, 13 marines uccisi. Ne tardo pomeriggio di Kabul nei pressi dell’Abbey Gate, uno degli accessi all’aeroporto, un kamikaze si è fatto esplodere, e una seconda esplosione è avvenuta poco distante. Le intelligence americane e inglesi sin dal mattino avvertivano dalla possibilità di attacchi terroristici all’aeroporto di Kabul, dove si ammassano migliaia di persone nella ricerca disperata di riuscire a prendere gli ultimi voli di evacuazione previsti entro il 31 agosto.



Dopo l’attacco tutti i sospetti si sono subito rivolti ai miliziani dello Stato islamico, presenti in Afghanistan dall’inizio del 2015. E alle 21.29 ora italiana è arrivata la rivendicazione. Dopo due ore è toccato al presidente americano Biden andare di fronte ai giornalisti. “Non perdoneremo e dimenticheremo, ve la faremo pagare” ha detto il presidente rivolto ai miliziani islamici. Biden ha anche citato la Bibbia e fatto personalmente un momento di silenzio dedicato ai soldati americani uccisi.



“L’Isis – spiega al Sussidiario Stefano Piazza, esperto di terrorismo, collaboratore di Panorama e La Verità – è presente con il nome di Stato islamico del Khorasan, un gruppo di cui fanno parte fuoriusciti dai talebani pachistani, ex qaedisti scontenti”. Questa emanazione dell’Isis è in lotta con i talebani da tempo e questo attentato “servirebbe proprio a far capire ai talebani che non avranno vita tranquilla”.

L’attentato previsto è accaduto con precisione sconcertante, cosa ne sappiamo per adesso?

È tutto molto strano, è difficile dire cosa ci sia veramente dietro questo attentato.



L’Isis ha rivendicato. Qual è il senso di questa operazione?

Proprio nelle ore in cui i talebani entravano a Kabul, l’Isis ha colpito, uccidendo un loro comandante. L’Isis deve farsi sentire, hanno bisogno di vendicarsi di al Qaeda che è riuscita a dotarsi di uno stato addirittura riconosciuto da alcuni paesi, mentre il loro stato islamico è andato in frantumi. Potrebbe essere un modo per alzare il tiro sui talebani, un modo per accelerare certe dinamiche. Può essere tante cose.

L’Isis Khorasan è una milizia che alcuni, anche jihadisti, hanno spesso detto non esistere neppure, mentre altri parlano di una creatura dei servizi segreti pachistani.

Per esistere esiste eccome, escludo i servizi segreti pachistani. Lo Stato islamico si è sviluppato in Afghanistan verso la fine del 2015, composto da fuoriusciti dai talebani pachistani in lotta per la leadership. Dentro c’è un po’ di tutto, anche ex qaedisti scontenti. Anche il loro attuale leader è un ex qaedista.

A proposito, al Qaeda con chi sta?

A questi dieci giorni di insurrezione hanno preso parte sia i talebani che i miliziani di al Qaeda, che sono presenti in 15 provincie afghane su 35. Sono entrambi impegnati nella ricostruzione di uno Stato narco-terroristico.

Qual è il suo scenario?

Per i talebani adesso sono problemi seri, non avranno vita facile.

Si parla anche di infiltrazioni terroristiche tra gli evacuati.

Sì, è vero. Secondo l’intelligence americana tra tutti coloro che sono usciti dal paese ce ne sono almeno cento che erano sulle liste dei terroristi ricercati. Così oggi abbiamo in occidente cento terroristi.

In un suo articolo pubblicato su Panorama lei ha dato una completa e approfondita descrizione della risorsa che la coltivazione dell’oppio rappresenta per l’Afganistan. Come mai gli americani non sono riusciti a fermarla?

Perché non hanno voluto.

Come mai?

Perché hanno creduto a quello che dicevano i loro analisti, secondo i quali se avessero distrutto i campi di papaveri la gente, che già li odiava, tutti coloro la cui unica fonte di sostentamento era quella, li avrebbe odiati ancora di più. Lascerete un paese sul lastrico se distruggerete le coltivazioni di oppio, dicevano. La forza militare per farlo gli americani l’avevano.

Avrebbero potuto pensare economie alternative al papavero?

Sì. Ma non è stato fatto, come non è mai stato fatto in nessuno dei paesi che vivono di narcotraffici, come la Colombia e il Perù. Non c’è mai stato questo sforzo di riconversione.

I talebani hanno promesso che vieteranno il traffico di stupefacenti, è credibile?

Quando i talebani dicono che oggi è venerdì, non bisogna crederci. Qualunque cosa dicano è falsa. Sono tutte bugie, fanno un sacco di promesse, intanto la gente viene impiccata, portata via di casa, le donne non possono partecipare alle lezioni universitarie. Tutto quello che oggi dicono è perché il 31 agosto gli occidentali saranno andati via, poi chiuderanno l’Afghanistan nella morsa come hanno fatto vent’anni fa. Chi crede nella possibilità di un dialogo, come l’ex presidente del consiglio Conte o il ministro degli Esteri svizzero Ignazio Cassis, parla di cose che non conosce.

Impossibile dialogare?

Guadagnano un miliardo e seicento milioni di dollari dal traffico di droga, ma chi può credere che non continueranno a farlo?

Quali sono le vere armi a disposizione dell’occidente contro il prossimo governo talebano?

Quello che fa gola ai talebani sono i 10 miliardi di dollari della Banca nazionale afgana che sono custoditi alla Bank of New York e alla Bank of England. Questi soldi sono all’estero e potrebbero essere uno strumento di pressione sui talebani, che si devono accontentare di quello che hanno trovato nel palazzo presidenziale all’interno della Banca nazionale, solo 330 milioni di dollari. Ora hanno il problema della gestione finanziaria, perché questi soldi non bastano certo a mandare avanti uno Stato. L’elemento di pressione è quindi quello finanziario. Ci vorrebbero poi sanzioni, il mancato riconoscimento dell’intera comunità internazionale, non solo del G7, e sanzioni anche contro chi riconosce i talebani. Bisogna vedere se ci sarà il coraggio.

Non si parla delle migliaia di persone che in queste ore stanno fuggendo in Pakistan. Dopo l’abbandono di Kabul il 31 agosto continuerà secondo lei la fuga nei paesi confinanti?

È chiaro che cercheranno di scappare ancora, ma i talebani controllano le frontiere. Ci saranno traffici di persone a pagamento, tutti coloro che vorrebbero fuggire, ed emergenze migratorie nei paesi vicini e di conseguenza in occidente.

(Paolo Vites) 

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