Erano le 17.19 del 13 maggio 1981 quando il mondo, la Chiesa e tutta l’umanità venne “colpita al cuore” come quel suo “imponente” testimone vestito di bianco: l’attentato in Piazza San Pietro contro Papa Giovanni Paolo II è uno di quei momenti della storia che funge da “snodo” cruciale per infinite conseguenze e vicende. Eppure per una volta non ci interessa (diciamo non solo, ndr) il retroscena sulle inchieste, i misteri sui mandanti, le motivazioni annesse a chi tentò di uccidere il Santo Padre protagonista della “rivoluzione bianca” che distrusse il muro di Berlino e sconfisse con tutta la Chiesa il dramma della Guerra Fredda. Ci interessa la persona, ci interessa quel prete polacco che assieme al fidato e inseparabile Joseph Ratzinger rivoluzionò per sempre la Chiesa di Cristo: fu colpito due volte dal sicario dei “lupi grigi” turco, Ali Agca, da distanza ravvicinata mentre Karol Wojtyla stava girando in piazza con la Papa mobile scoperta e aveva appena poggiato una bimba per il consueto bacio in testa. Addome, colon e intestino tenue: le pallottole colpirono quel 13 maggio l’intero corpo del Papa ma miracolosamente, dopo giorni frenetici di ricovero e operazioni, si salvò. Complicazioni, virus e convalescenza riconsegnarono al mondo e alla Chiesa il loro testimone della Croce il 30 settembre successivo: tutto non fu mai più come prima, ma nel baratro dove si pensava si potesse finire con l’attentato al Papa, “Qualcuno” guidò quel suo straordinario “atleta” polacco verso la liberazione piena della Guerra Fredda arrivando a parlare a tutto il mondo e guidando la Santa Chiesa di Cristo nel nuovo Millennio.
LA MADONNA DI FATIMA E QUELLA “MANO” SU PAPA WOJTYLA
«Potrei dimenticare che l’evento (tentato omicidio di Ali Agca) in Piazza San Pietro ha avuto luogo nel giorno e nel momento in cui la prima apparizione della madre di Cristo per i pastori è stato ricordato per 60 anni a Fatima, Portogallo? Ma in tutto quello che mi è successo quello stesso giorno, ho sentito che la straordinaria protezione materna e attenta si rivelò essere più forte del proiettile mortale», lo raccontò lo stesso Papa Giovanni Paolo II dopo diversi mesi in cui ponderò a fondo quanto avvenne quel pomeriggio assurdo del 13 maggio. Proprio quel giorno la Chiesa Cattolica celebra la prima apparizione ai tre pastorelli portoghesi della Madonna di Fatima a cui lo stesso Wojtyla era da sempre molto legato. Nel libro “Una vita con Karol”, il cardinale Stanislaw Dziwisz. segretario di Wojtyla, ricorda con fulgida chiarezza quegli attimi e come in maniera miracolosa (non ci sono altri modi per definirlo) quei proiettili non colpirono gli organi vitali del Santo Padre. «A Fatima Giovanni Paolo II non aveva mai pensato nei giorni immediatamente successivi all’attentato. Solo più tardi, dopo essersi ripreso e aver riacquistato un po’ le forze, aveva cominciato a riflettere su quella a dir poco singolare coincidenza. Sempre il 13 maggio! Un 13 maggio, nel 1917, il giorno della prima delle apparizioni della Madonna a Fatima, e un 13 maggio il giorno in cui avevano tentato di ucciderlo», scrive nelle sue memorie il cardinale polacco. I medici non seppero mai spiegare appieno come sia stato possibile che da quella traiettoria, la pallottola non abbia mai intaccato gli organi vitali: neanche il Papa se lo spiegava, anzi, si affidava a Chi quella “mano” pare proprio l’abbia utilizzata…
ATTENTATO PAPA: ALI AGCA E IL PERDONO
Dopo qualche mese dall’attentato, Papa Giovanni Paolo II volle incontrare in carcere a Rebibbia il suo tentato killer: il Pontefice voleva perdonare Ali Agca, terrorista turco che fino in fondo non ha mai ammesso appieno i reali mandanti dietro quell’atroce attacco. Era Natale del 1883 e Giovanni Paolo II raccontava così di quell’incontro «Ho parlato con lui come si parla con un fratello, al quale ho perdonato e che gode della mia fiducia. Quello che ci siamo detti è un segreto tra me e lui». Il grande giornalista Indro Montanelli poi raccontò un breve dialogo privato tra lui e il Papa, con Wojtyla che raccontò qualche “dettaglio” in più di quello strano perdono: «parlai con quell’uomo», disse, «dieci minuti, non di più: troppo poco per capire qualcosa di moventi e di fini che fanno certamente parte di un garbuglio… si dice così?… molto grosso. Ma di una cosa mi resi conto con chiarezza: che Ali Ağca era rimasto traumatizzato non dal fatto di avermi sparato, ma dal fatto di non essere riuscito, lui che come killer si considerava infallibile, a uccidermi. Era questo, mi creda, che lo sconvolgeva: il dover ammettere che c’era stato Qualcuno o Qualcosa che gli aveva mandato all’aria il colpo». Agca venne condannato all’ergastolo per attentato a Capo di Stato Estero ma venne estradato in Turchia lo scorso 2000 quando anche il Quirinale concesse il “perdono” al terrorista, redento da quell’incontro con Papa Giovanni Paolo II nel carcere di Rebibbia. «Una mano ha sparato e un’altra ha guidato la pallottola» ripeté sempre Papa Wojtyla, e da quel momento proprio quel proiettile venne incastonato nella corona della Statua della Madonna di Fatima.