Cinque militari italiani delle forze speciali sono stati feriti ieri da un ordigno rudimentale mentre accompagnavano un mezzo blindato in Iraq, durante una missione di addestramento anti-Isis delle forze armate del Kurdistan iracheno. La località non è stata resa nota dal comando, ma potrebbe trattarsi delle vicinanze di Kirkuk, nel nord del paese. Tre feriti sono gravi, ma non in pericolo di vita. I cinque militari coinvolti sono Marco Pisani, Paolo Piseddu, Andrea Quarto, Emanuele Valenza, Michele Tedesco. Il commento di Mauro Indelicato, direttore di Infoagrigento.it e collaboratore del Giornale.it.



Tra due giorni ricorrono i 16 anni dell’attentato di Nassiriya. Qual è il messaggio dei terroristi?

La vicinanza con una ricorrenza del genere fa riflettere e provoca suggestioni, ma non è detto che i terroristi abbiano agito pensando al dramma del 2003. Senza dubbio però il messaggio appare chiaro: il terrorismo in Iraq non è affatto debellato a seguito della recente morte di Al Baghdadi ed è sempre pronto a colpire.



Perché l’Italia?

Nei giorni scorsi è uscito il report annuale del dipartimento di Stato Usa sulla lotta al terrorismo. Un capitolo del documento è stato dedicato all’Italia e, tra le altre cose, è stato sottolineato come il nostro paese è in Iraq quello più presente subito dopo gli Stati Uniti. È chiaro quindi che la presenza dei soldati italiani tra i terroristi operanti in territorio iracheno viene vista come una delle più ingombranti.

Le responsabilità dell’Isis sono fuori discussione?

A Kirkuk, zona dell’attentato, le forze irachene da mesi sono quasi quotidianamente messe sotto attacco dall’Isis e conducono operazioni volte a rintracciare le ultime sacche jihadiste ancora operative. Dunque, tutti gli indizi sembrerebbero attribuire all’Isis la responsabilità di quanto avvenuto.



Qual è la consistenza dello stato islamico in Iraq attualmente e come va inquadrato quanto avvenuto?

I terroristi hanno tutto l’interesse a dimostrare di essere redivivi nonostante le perdite subite, specialmente adesso che l’Isis sta attraversando un primo momento di transizione post-Al Baghdadi. Attaccare i soldati stranieri o comunque obiettivi occidentali, è un modo per far capire alla stessa opinione pubblica che il mondo jihadista non è affatto sconfitto e che può attaccare l’occidente in qualsiasi momento ed in qualsiasi luogo.

I militari italiani feriti sono soldati ad alta specializzazione. Potrebbero essere stati commessi degli errori, a quanto è dato di sapere al momento?

Non credo. L’attentato, secondo le ultime notizie, sarebbe stato compiuto con l’utilizzo degli Ied (Improvised explosive device, ndr), gli ordigni più temuti sia in Iraq che in Afghanistan. Si tratta di strumenti micidiali, in quanto è molto facile nasconderli e possono provocare esplosioni più potenti delle stesse mine anticarro. Sono trappole da cui purtroppo è molto difficile difendersi.

Che peso ha nel contrasto all’Isis il ritiro degli americani dalla Siria?

Quando a gennaio Trump ha annunciato per la prima volta il ritiro dalla Siria, pochi giorni dopo è volato a sorpresa in Iraq per visitare un’importante base americana. In questo modo ha voluto ribadire come al disimpegno siriano corrispondesse un maggiore impegno sul territorio iracheno. La presenza Usa in Iraq è molto significativa, le forze armate di Baghdad sono in gran parte addestrate dagli americani.

Oggi si terrà il Consiglio supremo di difesa. Cosa deve fare e cosa non deve fare adesso il governo?

Secondo il mio parere, a prescindere dalle sensibilità interne alla maggioranza di governo e dall’essere d’accordo o meno con la missione in Iraq, in primo luogo non si deve mettere in discussione la presenza nel paese arabo. Altrimenti, si darebbe agli stessi terroristi un segnale di debolezza che potrebbe mettere a repentaglio la sicurezza degli altri soldati italiani in Iraq. Quello che occorre fare è mostrarsi uniti e solidali verso le nostre forze armate, spesso ricordate soltanto in caso di eventi tragici come quello di questa domenica. 

(Federico Ferraù)