Un convoglio composto da tre mezzi blindati Vtlm Lince, appartenenti all’esercito italiano, è stato obbiettivo di un attentato ieri a Mogadiscio. Fortunatamente non ci sono né vittime né feriti, si trattava di un ordigno artigianale. I nostri soldati sono presenti in Somalia dal 2010, operano nell’ambito della missione dell’Unione Europea Eutm (European Union Training Mission) concordata con il governo somalo di transizione con lo scopo di addestrare i soldati somali. A comandare la missione un italiano (dall’8 agosto scorso si tratta del generale di brigata Antonello De Sio). Si tratta di 123 soldati e di una ventina di mezzi blindati: “La missione” ci ha spiegato Marco Bertolini, già comandante del Comando Operativo di Vertice Interforze e della Brigata Folgore in Somalia “non è una operazione di combattimento, non ha lo scopo di ingaggiare combattimenti con alcuno. Ha solo lo scopo di addestrare le truppe somale”. A proposito del possibile collegamento di questo attentato con il rapimento di Silvia Romano, la volontaria rapita in Kenya che si troverebbe secondo alcune fonti in Somalia, Bertolini dice che “per parlare di collegamento bisogna avere fonti di alto livello o molta fantasia. I nostri soldati sono in Somalia per fare addestramento e niente altro, quanto successo ieri fa purtroppo parte di un normale teatro di guerra qual è la Somalia”.
Cosa fanno esattamente i nostri soldati in Somalia? Che compito hanno?
In Somalia dal 2010 è in atto una missione europea, una operazione di addestramento delle truppe somale governative. Ci sono altri paesi che fanno addestramento, ad esempio americani e diversi paesi africani. Quella dell’Unione Europea è sicuramente la missione più povera in termini di risorse.
Che cosa intende?
Ipocritamente l’Europa si limita a fornire addestramento mentre le truppe somale hanno bisogno di armi e munizioni. È comunque una missione che ha dato buoni risultati perché le truppe somale sono prive di tutto: addestramento, armi, ma anche supporto sanitario e mezzi di trasporto. I nostri soldati sono stanziati a sud dell’aeroporto di Mogadiscio e sono pronti a intervenire fuori dell’aeroporto se ci fosse bisogno.
Questo significa che possono ingaggiare scontro armati?
Certamente. Non è una operazione di combattimento nella quale l’Ue vuole ingaggiare combattimenti, si limita a dare addestramento, ma è chiaro che se si trovano a doversi difendere o difendere quelli che sono con loro, possono usare le armi.
Come spiega questa attentato? C’è chi ha detto che, secondo fonti dell’intelligence, è collegato al rapimento di Silvia Romano. È possibile?
Può essere tutto. Onestamente per fare collegamenti del genere bisogna avere buone informazioni o molta fantasia. Personalmente non ho nell’una né l’altra cosa.
Magari le truppe italiane stanno indagando sul rapimento?
I militari italiani sono in Somalia con un compito specifico, sicuramente non quello di indagare sul rapimento di una nostra connazionale. Non funziona così. Quando si è impegnati in una missione, si segue quella, non altro.
Sappiamo che la nostra intelligence indaga sul caso, potrebbe essere un segnale mandato all’Italia affinché non se ne occupi?
Non credo proprio. Credo piuttosto sia una delle azioni che sono naturali in un ambiente del genere, dove c’è un’opposizione armata che fa capo ad al Qaeda e all’Isis che si oppone a un governo che sta in piedi solo grazie all’Unione Africana, marginalmente anche l’Unione Europea e gli Stati Uniti. L’attentato è avvenuto a Mogadiscio, città nella quale il controllo è molto limitato. È una città distrutta dalla guerra, piena di fazioni varie. Quanto successo ritengo sia una cosa naturale in un teatro di guerra.
Lei è stato in Somalia diverse volte, che idea si è fatto di questo martoriato paese in guerra da decenni?
Sono stato sia trent’anni fa con l’operazione Ibis, in cui ho comandato la Brigata Folgore dal dicembre 1992 al marzo 1993, e poi in seguito in altre missioni. La mia impressione è che il popolo somalo abbia sempre guardato all’Italia con fiducia, ma che noi ce ne siamo disinteressati. Lo dico con grande rammarico.
Perché è successo questo?
Gli anziani in Somalia ricordano ancora, quando pensano alla pace, la Mogadiscio città italiana fatta di locali italiani, maestranze italiane. Avevano grande aspettativa verso il nostro paese. L’Italia non ha corrisposto a questa aspettativa, ce ne siamo andati trent’anni fa lasciandoli da soli e adesso ci limitiamo a fornire addestramento. Forse dovremmo dar loro qualcosa di più.
(Paolo Vites)