A I Fatti Vostri si è trattato stamane il caso del terribile attentato alla sinagoga di Roma del 9 ottobre 1982, in cui perse la vita il piccolo Stefano Gaj Tachè, bimbo di soli 2 anni, oltre al ferimento di 37 persone. Fra i feriti gravi vi era anche Gadiel Gaj Taché fratello proprio della vittima che oggi è stato negli studi del programma di Rai Due: “Ho pochi ricordi – dice riferendosi a quei tragici eventi – ero molto piccolo, avevo 4 anni, molte cose le ho rimosse, ho ricostruito grazie all’aiuto della mia famiglia gran parte dei miei ricordi. Il ricordo più limpido che ho è quello in cui mi han caricato sull’elicottero e mi han portato all’ospedale San Camillo. Io evidentemente ero troppo grave, sono stato colpito da migliaia di schegge, mi è stata recisa l’arteria femorale, avevo schegge nell’occhio, testa, pancia, la gamba sinistra piena di schegge, ancora ne ho”.
L’attentato alla sinagoga di Roma avvenne in un momento particolare: “Era l’ultimo giorno della festa delle capanne e in quel giorno si usa dare una benedizione speciale a tutti i bambini e quel giorno era affollato di bimbi. Ho qualche piccolissimo flash di mio fratello, di noi che giochiamo, che andiamo al mare, ma molto è ricostruito attraverso i racconti e forse la mia mente mi ha preservato da un dolore maggiore”.
ATTENTATO SINAGOGA ROMA, PARLA GADIEL GAJ TACHE’: “SONO RIUSCITO AD ANDARE AVANTI GRAZIE ALLA MUSICA”
“Come ho fatto ad andare avanti? Io sono un musicista e mi ha aiutato molto, mi piace scrivere canzoni. Io per 30 anni non ho avuto la forza di parlare della mia esperienza e la musica mi ha aiutato. Nel 2011 ho cominciato a parlarne e questo è stato un altro momento importante. Mi emoziono ancora quando ne parlo”.
Mattarella, nel discorso del suo primo insediamento, ricordò proprio Stefano Gaj Taché: “Qualcosa di totalmente inaspettato – ha commentato Gadiel – ci speravamo per tanti anni quindi è stata come la realizzazione di un sogno. Per 40 anni abbiamo avuto la sensazione che questo attentato fosse stato considerato dall’Italia un qualcosa di estraneo, riguardante solo la comunità ebraica e non l’Italia, ma Stefano era italiano anche io lo sono, siamo nati e cresciuti qua”. Gadiel ha scritto un libro dal titolo ‘Il silenzio che urla’: “E’ stato il mio silenzio per 30 anni – ha commentato – il silenzio assordante durante il funerale di Stefano e poi il silenzio dello Stato, noi ad oggi non abbiamo avuto ne verità ne giustizia”