Uno studio spagnolo conferma l’importanza dell’attività fisica nella riduzione del rischio di infettività, ospedalizzazione, gravità e mortalità del Covid. La ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica British Medical Journal, evidenzia che le persone che praticano regolarmente attività fisica hanno una minore probabilità di infezione da Sars-CoV-2, di ricovero, malattia grave e morte rispetto agli individui fisicamente inattivi. I ricercatori hanno scoperto, in particolare, che se si raggiungono almeno 500 MET (equivalente metabolico dell’attività) a settimana di attività fisica, cioè 150 minuti di attività fisica ad intensità moderata o 75 minuti di attività fisica a intensità elevate, il beneficio è maggiore. Una constatazione di non poco conto, visto che i risultati di questo studio possono aiutare i medici e responsabili di politiche sanitarie a formulare raccomandazioni e sviluppare linee guida in merito, sia a livello individuale che di popolazione, soprattutto per i pazienti ad alto rischio.



Gli effetti immunoregolatori dell’attività fisica sono ben noti. Ma sono state trovato prove dell’associazione tra attività fisica regolare e un rischio inferiore dell’11% di infezione da COVID-19. I risultati di questo studio supportano anche quelli di altri studi sul tema che collegano l’attività fisica alle malattie infettive. Ad esempio, una recente revisione sistematica e meta-analisi ha riportato che l’impegno regolare in attività fisica moderata-vigorosa è associato a un rischio prospettico di malattia infettiva inferiore del 31% e a un rischio inferiore del 37% di mortalità legata alle malattie infettive. Inoltre, è stato riferito che la partecipazione all’attività fisica riduce l’incidenza di polmonite e il rischio di infezioni respiratorie acute.



PERCHÉ LO SPORT “PROTEGGE” DAL COVID

In base alle evidenze scientifiche disponibili relative ad altre infezioni virali, una possibile spiegazione di questi risultati è che le persone fisicamente attive presentano sintomi meno gravi, tempi di guarigione più brevi e possono avere meno probabilità di infettare le altre persone con cui entrano in contatto. Inoltre, negli esseri umani sani, l’attività fisica è stata collegata a una riduzione dell’infiammazione sistemica, aumento della proliferazione delle cellule T, riduzione dei livelli circolatori di citochine infiammatorie (cioè, diminuzione dell'”inflamm-ageing”). Quindi, un regolare esercizio fisico di moderata intensità può essere efficace nel potenziare le risposte antinfiammatorie, che potrebbe contribuire a invertire la linfocitopenia nei pazienti affetti da Covid. Un’altra possibile spiegazione dei risultati di tale studio riguarda il livello di fitness cardiorespiratorio e muscolare degli individui, perché entrambi giocano forse un ruolo centrale nello spiegare l’effetto protettivo dell’attività fisica sull’ospedalizzazione, gravità e mortalità. C’è un altro aspetto tutt’altro che trascurabile. Gli individui di status socioeconomico inferiore e che vivono in paesi a basso o medio reddito possono incontrare ulteriori difficoltà a praticare regolarmente attività fisica nel tempo libero rispetto a coloro che provengono da contesti socioeconomici più elevati (ad esempio, risorse limitate, vivere in quartieri con minore accesso ai parchi o con minore possibilità di camminare). Questo può comportare un onere pandemico ancora maggiore per questi gruppi emarginati. Di conseguenza, la sfida è quella di garantire un accesso equo all’attività fisica per garantire risultati migliori per la salute di tutti.

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