Augusto Di Meo aveva 33 anni quando, il 19 marzo 1994, l’amico don Peppe Diana fu ucciso nella chiesa di San Nicola di Bari a Casal di Principe (Caserta) da un killer entrato in azione davanti ai suoi occhi poco dopo le 7 del mattino, mentre il parroco si trovava in sagrestia e si preparava a celebrare la messa.

Quel giorno, onomastico del sacerdote, Augusto Di Meo aveva deciso di passare presto a salutarlo e, proprio quando stava per congedarsi, assistette all’irruzione di un uomo armato di pistola. “Chiese ‘Chi è don Peppe?’, e il mio amico rispose ‘Sono io’“. Furono le ultime parole del prete prima dell’esecuzione della condanna a morte scritta dalla camorra. A quel punto, il sicario aprì il fuoco e almeno quattro proiettili colpirono don Peppe Diana senza dargli scampo. Subito dopo, Augusto Di Meo andò in caserma a denunciare l’assassino nonostante il muro di omertà intorno al tessuto locale della criminalità organizzata. Un gesto di coraggio che oggi, ha ribadito più volte, rifarebbe senza pensarci.



Augusto Di Meo testimone oculare dell’omicidio di don Peppe Diana: “Morì all’istante, lo presi tra le braccia…”

Fu proprio la testimonianza di Augusto Di Meo, come ricalcato da Roberto Saviano nel suo programma Insider – Faccia a faccia con il crimine, a inchiodare l’assassino di don Peppe Diana e a portare alle successive condanne definitive per l’omicidio.



Peppe morì all’istante – ha raccontato Augusto Di Meo al Corriere della Sera e al Tg3 -. Lo presi tra le braccia e lo chiamai, ma era già senza vita. Il suo volto era stato sfigurato da uno dei proiettili. L’assassino mise a posto la pistola nella cintura, si aggiustò la giacca e uscì senza correre. Intanto, nel giro di una manciata di minuti, attorno a me scapparono tutti“.

Augusto Di Meo, la fuga per proteggere la famiglia: “Una parte dello Stato non ha fatto il proprio dovere”

Augusto Di Meo, da quel 19 marzo 1994, ebbe la vita stravolta. Non solo per aver perso l’amico don Peppe Diana, ucciso dalla camorra mentre svolgeva il suo servizio sacerdotale, ma anche perché costretto a cercare protezione dalla camorra dopo aver riconosciuto e denunciato il killer.



Una tutela che le istituzioni, come ha detto al Tg3, non gli avrebbero garantito appieno: “Avevo tanta paura, dissi a mia moglie di spostarci, di andarcene da Casal di Principe. Mi sono sentito assolutamente solo, una parte dello Stato non ha fatto il proprio dovere“. Augusto Di Meo ha sempre ripetuto la sua certezza: “Lo rifarei domani mattina“, pronto a portare avanti la battaglia contro la camorra che condivise con l’amico don Peppe Diana. Per l’omicidio del sacerdote, furono condannati Giuseppe Quadrano, ritenuto esecutore materiale e destinato a una pena di 14 anni di carcere perché diventato collaboratore di giustizia, il boss Nunzio De Falco, ritenuto mandante del delitto e all’ergastolo. Stessa pena inflitta ai due riconosciuti quali coautori dell’omicidio, Mario Santoro e Francesco Piacenti.