Aumenti dei prezzi generalizzati già da inizio 2022, incrementati ancora di più dopo l’esplosione della guerra tra Russia e Ucraina. A salire è stato in modo esponenziale il carburante, ma non soltanto. Anche prodotti del paniere come pasta e pane hanno conosciuto dei rincari molto importanti, che andranno senza dubbio a condannare milioni di famiglie italiane. Eppure, nella pratica, il motivo di tali aumenti non esiste. Come rivela un’inchiesta de Il Messaggero, il prezzo del grano è in realtà sceso e dunque i rincari di prodotti come pasta e pane non sono giustificati.



Il grano tenero nell’ultima settimana ha perso quasi il 10%. Tale prodotto arriva in Italia per quasi il 70% dall’estero e in particolare da Russia e Ucraina. In Italia, però, abbiamo assistito ad un aumento importante dei prodotti a base di grano tenero e nelle prossime settimane potrà esserci un’ulteriore salita dei prezzi tra il 15% e il 30%. In alcune zone d’Italia la situazione è più difficile che in altre: a Ferrara una pagnotta da un chilo costi fino a 9,8 euro mentre a Bari arriva al massimo a 6 euro. Anche i prodotti a base di grano duro, perlopiù importato da Canada, Usa, Messico o altre parti di Europa, ma non Ucraina o Russia, hanno conosciuto importanti aumenti.



Aumenti prezzi, Antitrust in campo?

Il grano duro, utilizzato per produrre la pasta, ha mantenuto stabile il suo prezzo, non provenendo come abbiamo detto da Ucraina o Russia ma da Canada, Usa, Messico o altre zone europee. Nonostante ciò, gli aumenti dei prezzi hanno riguardato anche la pasta. Un chilo di pasta a Cagliari è arrivato a costare anche 4,71 euro al chilo secondo Assoutenti e i dati Mise. A Pescara si è arrivati sui 3 euro. Una situazione diventata insostenibile che potrebbe far scendere in piazza le associazioni dei consumatori o la stessa Antitrust, che si occupa di pratiche commerciali scorrette. La speculazione che c’è dietro al commercio potrebbe poi interessare anche Procure e della Guardia di Finanza.



Non solamente prodotti a base di grano, però. Dopo una settimana di sciopero con conseguente livelli record dei prezzi sono tornati in attività i pescherecci. Aumentati, dunque, i prezzi di tanti prodotti ittici da importazione, ma ci sono stati oltre a questo anche rincari in prodotti come orate da allevamento, che dunque non erano interessati dallo sciopero. Nelle pescherie romane – rivela il Messaggero – sono arrivati persino a 30 euro al chilo. Cosa c’è dietro questo aumento? Perché paniere dei beni e benzina hanno raggiunto livelli esorbitanti? C’è la mano della speculazione?