Parola di Abi: i depositi della clientela residente sono cresciuti di oltre 125 miliardi di euro facendo registrare a settembre un incremento dell’8%. Inoltre, nel dettaglio, si può apprendere come l’ammontare complessivo dei depositi (in conto corrente, certificati di deposito, pronti contro termine al netto delle operazioni con controparti centrali, dei depositi con durata prestabilita connessi con operazioni di cessioni di crediti) sia pari a 1.682 miliardi, ovvero una somma che verosimilmente si avvicina all’intero Pil nazionale. Tra le tante conclusioni che emergono dal periodico bollettino mensile, questa sui depositi è quella che certifica ancora una volta il grado di disaffezione dei risparmiatori italiani. È pur vero, ed è bene riportarlo, che alla base di questa insofferenza per l’impiego dei propri averi ci sia un’elevata sfiducia complessiva, infatti: «Gli indici di fiducia dei consumatori e delle imprese permangono su valori molto negativi anche nel mese di settembre. L’indice di fiducia dei consumatori è passato da -15,4 a -15,1 (-13,8 dodici mesi prima); negativa anche la fiducia delle imprese che è passata da -19,2 a -14,5 (-6,4 un anno prima)».



Ma la sola “sfiducia” non può giustificare questa anomalia dell’intero sistema del risparmio. Una prima avvisaglia era già emersa da Istat che attestava al 18,6% la propensione al risparmio delle famiglie consumatrici (in aumento del 5,3% rispetto al primo trimestre dell’anno), ma oggi, nuovamente, ci risiamo. La liquidità è presente, è molta, ma non viene impiegata. È frutto dell’attuale crisi pandemica? Lo ribadiamo: è solo questione di fiducia (o meglio sfiducia)? Forse non è solo questo. Ovviamente i tassi di rendimento che vengono scambiati quotidianamente sul mercato non ci possono essere d’aiuto: per i titoli italiani si parla di soglie inferiori allo zero per chi volesse investire con scadenze inferiori ai 5 anni e, a conferma di questa dura realtà, il paradosso è giunto solo pochi giorni fa con la recente emissione del Btp a 3 anni (scadenza 14 ottobre 2020) che ha visto riconoscere ai propri assegnatari una cedola pari a zero e un rendimento lordo negativo dello 0,14%.



Forse, e con amarezza lo constatiamo, il cittadino italiano, il risparmiatore italiano, è giunto alla conclusione di dover ricorrere a una verosimile legittima difesa del proprio patrimonio: in assenza di una buona remunerazione da parte dello Stato, il detentore di liquidità si astiene dall’acquistare gli strumenti che la stessa patria mette a sua disposizione. In effetti, il medesimo Stato, pur riconoscendo l’attuale momento di crisi, non sembra voler proporre alternative allettanti per indurre all’investimento: la conferma la troviamo nella citata emissione che ha visto un titolo cosiddetto “a tasso fisso” ma con quest’ultimo azzerato.



All’orizzonte appare prossima la seconda emissione del Btp Futura dedicato al retail con caratteristiche sostanzialmente in linea (tranne per la durata) alla precedente: scadenza a otto anni (rispetto ai precedenti dieci), cedole crescenti (meccanismo step-up) e “premio fedeltà” minimo dell’1% (con un massimo del 3%) ancorato alla media del tasso di crescita annuo del Pil nominale italiano. Ovviamente, l’ammontare dei tassi cedolari definitivi sarà comunicato alla chiusura del collocamento (13 novembre).

Il buon esito per questa nuova emissione è solo ed esclusivamente nella mani del suo emittente: lo Stato italiano. Se la volontà sarà quella di premiare il potenziale risparmiatore, le casse del Tesoro dovranno farsi carico di un esborso maggiore (rif. rendimento finale) rispetto a quello già quotato. Se all’opposto, invece, si sceglierà ancora una volta la via dei mercati e dei suoi rendimenti, il successo ne sarà sicuramente compromesso e la disaffezione del risparmiatore accrescerà ulteriormente. Se così dovesse accadere, in capo a quest’ultimo, sarà plausibile tale giustificazione: «Non è punibile chi ha commesso il fatto, per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa» (primo comma art. 52 del codice penale). Anche negli affari, talvolta, è ammessa la legittima difesa.