Continua la diminuzione dell’occupazione. Nel mese di maggio 2020, rispetto a quello precedente, ci sono stati 8 mila occupati in meno nella quota del lavoro dipendente, in grande prevalenza per quanto riguarda la componente femminile. La graduale ripresa delle attività produttive ha rimesso in moto il mercato del lavoro per la componente delle persone disoccupate in cerca di lavoro, +307 mila, e una corrispondente diminuzione delle persone inattive che erano aumentate sensibilmente nel corso dei due mesi precedenti per effetto del lockdown.



Rispetto al mese di maggio dello scorso anno la riduzione dell’occupazione è consistente, -613 mila, mezzo milione a partire dal mese di febbraio 2020. La gran parte delle perdite legata alla carenza delle nuove attivazioni, al mancato rinnovo dei contratti a termine e stagionali e dell’abituale numero delle aperture delle partite Iva per il lavoro autonomo dovuto al blocco delle attività legato ai provvedimenti amministrativi adottati per contenere la pandemia.



La perdita delle ore effettivamente lavorate è stata di gran lunga superiore a quella degli occupati per effetto dell’intervento delle casse integrazioni e del blocco disposto per decreto legge dei licenziamenti. L’insieme di questi interventi finisce per edulcorare la corretta lettura dei dati resi disponibili dall’istituto di statistica nazionale. Nei prossimi mesi registreremo un progressivo assestamento delle tendenze reali in relazione alla concreta possibilità delle imprese di rigenerare le attività e i fatturati, al graduale ridimensionamento degli interventi di sostegno al reddito e del blocco dei licenziamenti. Molto dipenderà dai livelli del turnover che saranno ripristinati dal sistema delle imprese. I saldi saranno inevitabilmente negativi e ragionevolmente dobbiamo ritenere come consolidate le perdite occupazionali nei mesi recenti.



Assai più difficile formulare delle previsioni sull’immediato futuro. Tuttavia uno sforzo per comprendere le particolari criticità del nostro mercato del lavoro va certamente fatto. Se non altro, per tarare meglio gli interventi finalizzati a contenere i costi sociali degli andamenti negativi e per accelerare i provvedimenti finalizzati a sostenere i segmenti produttivi che possono contribuire a generare nuove opportunità di lavoro.

Sul versante della domanda di lavoro, gli effetti post-pandemici renderanno difficile una rapida ripresa nei tre segmenti del sistema produttivo (il turismo, la ristorazione, e i servizi alle persone) che negli anni recenti, insieme ai settori manifatturieri e a quello agricolo, hanno fatto da traino per il recupero dell’occupazione sui livelli precedenti la crisi economica del 2008. Cosa avvenuta per il numero degli occupati, ma non per quello delle ore lavorate.

Sul versante dell’offerta di lavoro, l’ulteriore invecchiamento della popolazione attiva renderà problematica la possibilità di adeguare o riconvertire le competenze dei lavoratori. Nel breve periodo il calo della domanda di lavoro è destinato a rallentare il ricambio generazionale e di genere. L’insieme di queste criticità del nostro sistema della domanda e offerta dovrebbero suggerire un approccio meno teorico e sovrastrutturale per le politiche dedicate a sostenere lo sviluppo e il lavoro.

Ci sono le potenzialità per invertire in tempi ragionevoli il ciclo dell’occupazione. Soprattutto se si recuperano i divari esistenti di produzione e di produttività nei comparti dei servizi, in particolare nella sanità, nell’assistenza e nei servizi alle imprese e alle persone, rispetto agli altri Paesi europei. E con il supporto di strategie accorte di politiche fiscali, di potenziamento delle infrastrutture e di iniziative rivolte alla salvaguardia del patrimonio e dell’ambiente, in grado di generare ricadute positive sul complesso dei territori e delle comunità.

Allo stato attuale questi ambiti sono molto caratterizzati da una presenza rilevante di lavoro sommerso (equivalente secondo l’Istat a circa 3 milioni di posti di lavoro a tempo pieno), da un uso inefficiente delle prestazioni lavorative, bassa produttività e bassi salari, da una presenza rilevante di lavoratori immigrati retribuiti in modo indecoroso.

Il salto di qualità può essere favorito da tre scelte di politica economica: un ampliamento delle detrazioni per gli acquisti di servizi alle persone, una forte spinta alla digitalizzazione dei servizi , a partire da quelli pubblici, massicci investimenti per l’adeguamento delle competenze dei lavoratori e per facilitare l’accesso ai servizi dei consumatori. Quest’ultimo potrebbe rappresentare un ambito per coinvolgere i giovani che non studiano e non lavorano in programmi mirati di servizio civile.

Quello che non possiamo permetterci è l’innesto di un nuovo ciclo di riforme normative dei rapporti di lavoro e la dispersione delle risorse per sussidiare in modo inappropriato la sopravvivenza di aziende decotte e finti posti di lavoro.