“L’imposta di soggiorno è disciplinata dall’art. 4 del D. Lgs. 14 marzo 2011, n. 23, emanato in attuazione della legge 5 maggio 2009, n. 42, recante la delega al Governo in materia di federalismo fiscale. Tale norma è stata, poi, modificata dall’art. 180, comma 3, del D.L. 19 maggio 2020, n. 34, convertito dalla legge 17 luglio 2020, n. 77 nonché dall’art. 1, comma 787, della legge 29 dicembre 2022, n. 197. La misura dell’imposta viene stabilita dall’ente (…), tenendo conto del criterio di gradualità in proporzione al prezzo richiamato dall’art. 4 del D. Lgs. 23 del 2011, sino ad un massimo di 5 euro per notte di soggiorno. Il Comune di Roma (…) applica il contributo di soggiorno, per il quale è prevista una tariffa fino all’importo massimo di 10 euro per notte” (per gli ospiti di strutture pentastellate). Così è specificato nei siti del ministero all’Economia, che contemplano quindi una deroga al rialzo solo per Roma Capitale e per le città (Venezia, Firenze, Rimini, Verbania e Pisa) che ospitano ogni anno un numero di turisti 20 volte superiore a quello degli abitanti.



Adesso invece quel rincaro, addirittura il raddoppio, lo vorrebbe applicare anche Milano, dove il sindaco Giuseppe Sala già lo scorso anno aveva chiesto un incremento della tassa di soggiorno, che oggi per gli hotel 4 e 5 stelle della città è di 5 euro. “Se un turista può permettersi di pagare 600 euro per una camera – ha detto Sala -, la tassa di soggiorno deve essere di 5 euro o di 10 euro? Ricordo che in città ci sono 15 cinque stelle lusso con 1.704 camere e 16 cinque stelle con 1.701 camere e che l’80% del turismo a Milano è composto da stranieri con alta capacità di spesa. Registriamo circa 750mila turisti al mese; nei primi sei mesi del 2024 abbiamo avuto 5,2 milioni di arrivi. In tutto il 2023 sono stati 8,5 milioni, superando l’anno record del 2019 quando avevamo avuto 7,5 milioni di turisti”.



Il tutto accade mentre il Governo (il viceministro all’Economia Maurizio Leo e la titolare del Turismo Daniela Santanché) sta studiando un’estensione dell’imposta di soggiorno, che potrà essere applicata (su base volontaria) da tutti i Comuni italiani (oggi sono poco più di 1.200 su 7.900), che ovviamente si sono già detti unanimemente favorevoli all’iniziativa, al contrario delle associazioni dei consumatori, che lamentano possibili dirottamenti del turismo verso l’estero e la pluriaccusata mancanza di trasparenza sulla destinazione delle risorse, in teoria destinate all’hospitality & travel industry, e invece…



Proprio questo è il punto che concentra le perplessità degli operatori del turismo, con gli albergatori in prima linea. “Sarebbe auspicabile analizzare come vengono impiegate le risorse raccolte con la tassa di soggiorno”, dice Pippo Occhipinti, di Confimprese. Critiche anche da alcune territoriali di Confcommercio e da Federalberghi: “La federazione degli albergatori ricorda che sono trascorsi solo pochi mesi da quando, in vista del Giubileo, il tetto massimo dell’imposta di soggiorno è stato elevato del 40%, passando da 5 a 7 euro per notte e per persona, ed è stata introdotta la possibilità di utilizzarla per coprire i costi della raccolta rifiuti, snaturando le finalità dell’istituto. Federalberghi chiede di imporre una corretta disciplina di bilancio agli enti locali, anziché fornirgli gli strumenti per peggiorare la situazione, e ribadisce la proposta di finanziare le funzioni svolte dagli enti locali in campo turistico con modalità diverse dall’imposta di soggiorno. Ad esempio, in luogo di una tassa pagata solo dagli ospiti delle strutture ricettive, si dovrebbe istituire una city tax o attivare una compartecipazione degli enti locali al gettito Iva di tutte le attività produttive che traggono beneficio dall’economia turistica”.

I dubbi in merito alla tassa di soggiorno (al di là degli aumenti) comunque resistono: in particolare a proposito della libera circolazione dei cittadini in tutto il territorio della Repubblica, senza dazi o pagamenti (ex art 16 cost. e secondo diritto Ue). Anche se la Corte Costituzionale ha affermato che la tassa di soggiorno è “connessa a una spesa, quella turistica, non avente carattere d’indispensabilità e che costituisce espressione di una manifestazione non meramente fittizia di ricchezza, che trova la propria giustificazione nell’esigenza che i soggetti non residenti nel territorio comunale partecipino ai costi pubblici determinati dalla fruizione del patrimonio culturale e ambientale, anche in funzione di una migliore sostenibilità dei flussi dei visitatori e quindi in virtù di una vocazione turistica del Comune interessato dall’applicazione dell’imposta” (come riporta Ius in itinere). Rimane comunque aperto il confronto fra diritto alla circolazione libera e senza ulteriori limiti economici, nonché il principio europeo della libera concorrenza e simmetria senza selettività territoriale, e il principio contributivo riferito ai servizi pubblici usufruiti evidenziato dalla Corte. In sostanza è un rapporto più o meno conflittuale fra libera circolazione e contribuzione locale necessaria.

Difficile stabilire la priorità. Più facile invece verificare le destinazioni prese dai gettiti della tassa (che in Italia l’anno scorso ha generato entrate per 702 milioni di euro), e scoprire che ben poca cosa è andata effettivamente dove avrebbe dovuto. Al pari dei gettiti portati dagli autovelox, la tassa per i turisti è tacciata d’essere semplicemente un bancomat per i Comuni, con le casse sempre affamate. È vero insomma che l’ospite di un hotel produce rifiuti che andranno smaltiti, utilizza servizi pubblici per gli spostamenti e via dicendo, ma è anche vero che quell’hotel per smaltire i rifiuti (anche di quel cliente) paga già fior di imposte, che bus, taxi e metrò non sono gratis, e che invece se quel turista pranzerà in un ristorante o acquisterà un qualsiasi souvenir non farà altro che aiutare il tessuto economico locale. Se per la fragile Venezia città-museo si può anche comprendere la necessità di una tassa simile, anche e forse soprattutto per scambiare la quantità di turisti con la loro qualità (stesso discorso per Roma, soprattutto in vista del Giubileo), l’aumento dell’imposta è assai meno condivisibile per una città come Milano, già di suo tra le più care d’Italia, dove il carovita, anche per i turisti, sta diventando insopportabile.

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