Aurora, la 13enne morta a Piacenza dopo la caduta dal settimo piano del palazzo in cui viveva, avrebbe cercato disperatamente di restare aggrappata alla ringhiera, sospesa a un’altezza di circa 10 metri, ma il fidanzato 15enne, attualmente agli arresti e indagato per omicidio volontario, le avrebbe fatto perdere la presa con l‘intento di buttarla di sotto. È quanto avrebbero ricostruito la Procura per i Minorenni e i carabinieri che lavorano al caso, una dinamica che troverebbe riscontro nel racconto di un supertestimone che quella mattina del 25 ottobre, tra le 8:15 e le 8:30, avrebbe assistito alla terribile scena per poi riferirla ai militari.



Secondo quanto finora emerso, Aurora sarebbe stata colpita alle mani perché si staccasse e cadesse nel vuoto. Così è stato: la 13enne sarebbe precipitata dal balcone senza scampo, finendo per impattare contro un terrazzino sottostante e morire praticamente sul colpo. A Quarto grado, in onda questa sera su Rete 4, le ultime novità sulla vicenda.



Aurora morta a Piacenza, cos’ha detto il supertestimone

La morte della piccola Aurora sarebbe tutt’altro che un incidente o un suicidio. Ne era già convinta la sua famiglia, che subito aveva puntato il dito contro il fidanzato 15enne descritto come “violento e ossessivo”, e ora gli elementi cristallizzati dagli investigatori, unitamente al racconto del presunto testimone oculare della caduta, avrebbero spazzato via anche gli ultimi residui di dubbio: la 13enne sarebbe stata uccisa e per questo il giovane è stato fermato, sospettato di averla gettata dal settimo piano.



Un provvedimento convalidato poche ore fa, davanti al Tribunale per i minorenni di Bologna, alla luce di quanto acquisito dagli inquirenti: come ricostruito dal pm, riporta RaiNews, la ragazza avrebbe tentato di aggrapparsi ma il minorenne l’avrebbe “colpita” alle mani per farla cadere. Tentava di salvarsi, lui l’ha spinta giù“, avrebbe riferito la persona che dice di aver assistito al drammatico momento della caduta della 13enne.

Aurora morta a Piacenza: le prime risposte dell’autopsia e lo spettro della premeditazione

L’ho visto che buttava giù Aurora“, avrebbe spiegato senza mezzi termini il presunto supertestimone, al quale potrebbero aggiungersi altre due persone che quella mattina del 25 ottobre scorso potrebbero aver visto o sentito qualcosa relativamente alla morte della 13enne. Un racconto su cui sarebbe intervenuto un importante riscontro dall’autopsia: i primi esiti dell’esame medico legale sul corpo della vittima, riporta Ansa, avrebbero evidenziato la presenza di segni sulle mani compatibili con un’azione violenta atta a farle perdere la presa mentre si aggrappava alla ringhiera nel tentativo di salvarsi. Sarebbero “tracce” dei presunti colpi che il fidanzato 15enne, secondo l’accusa, le avrebbe inferto perché precipitasse.

La posizione del ragazzo, che continua a dirsi innocente, rischia di aggravarsi ulteriormente se gli venisse contestata la premeditazione. Un orizzonte che non appare peregrino perché, stando a quanto finora trapelato, quel giorno avrebbe avuto con sé un cacciavite di 15 centimetri. Finora non sarebbero emerse evidenze di un utilizzo dell’arnese per aggredire la 13enne, ma le indagini sono in corso e non si esclude che l’avere in tasca quello strumento fosse legato a una volontà di colpire coltivata da tempo.