In Austria c’è un terremoto finanziario che sta facendo tremare le banche europee. Il colosso immobiliare Signa Group, proprietario di pregevoli palazzi in giro per il mondo e grandi magazzini, è in bancarotta, crollato sotto il peso di circa 25 miliardi di euro di debiti. Si tratta del più grande crack aziendale in Europa dai tempi della Parmalat. Come evidenziato dal Sole 24 Ore, il dissesto austriaco trascina dietro il gotha delle banche europee che avevano finanziato l’ascesa del finanziere René Benko. Metà di quel debito monstre, infatti, era stato erogato da banche e istituzioni. Di questi, quasi 8 miliardi erano prestiti puri (di cui la metà a tasso variabile). Questa montagna di liquidità dovrà essere accantonata nei bilanci o svalutata del tutto.



L’esposizione verso Signa riguarda 40 istituti: in primis c’è la Svizzera con Julius Baer e Ubs. La prima è quella singolarmente più esposta, almeno stando ai dati emersi finora, con oltre 640 milioni di euro, mentre l’altra è esposta per 580 milioni euro. La beffa per Signa è data dal fatto che è eredità del “buco” di Credit Suisse, la banca fallita a inizio anno e salvata da Ubs. Il Paese più contagiato dal crack di Signa però è la Germania, con Allianz, Munich Re, Commerzbank e varie Landesbanken (tra cui Bayern LB e LBBW), che avevano tutte partecipato ai progetti immobiliari. Tornando all’Austria, capofila è Raiffeisen, seguita da Erste e Bank Austria.



BANCHE ITALIANE SUPERANO REQUISITI BCE

Quest’ultima è controllata da UniCredit, ma non è nota la “quota italiana” esposta. Pare che l’importo sia basso, legato a singoli progetti che hanno immobili come garanzia, quindi sarebbe stato escluso il rischio svalutazione. La Francia paga pegno con Bnp Paribas. Lasciando l’Europa, c’è il colosso bancario americano Citi col connazionale fondo d’investimento Jefferies. L’Inghilterra sarebbe fuori, visto che non risultano coinvolte Hsbc e Barclays, le due più grandi banche inglesi. Signa è considerata la “Lehman Brothers d’Europa“, per la vastità dell’effetto domino.



Arrivano buone notizie, invece, all’Italia, visto che le banche del nostro Paese sono state promosse dalla Bce. Gli istituti hanno cominciato a pubblicare i requisiti minimi per il loro capitale fissati dalla Banca centrale europea per il 2024, nell’ambito del processo di revisione e valutazione prudenziale (Srep). Questo processo fornisce una valutazione complessiva delle sfide da affrontare, con conseguenti requisiti di solvibilità e altre misure di vigilanza da rispettare. Intesa Sanpaolo, come riportato dal Sole 24 Ore, ha fatto sapere di rispettare «ampiamente» i requisiti patrimoniali stabiliti dalla vigilanza con lo Srep. Così Mediobanca, Bper, Credem, Banca Popolare di Sondrio e FinecoBank.