Da quando è scoppiato, l’Austriagate è stato tenuto a lungo in apertura sui siti di Financial Times e New York Times. Più esplicito il quotidiano statunitense nel mostrare “preoccupazione per le influenze russe”; più guardingo quello londinese nel tenere sotto i riflettori l’instabilità della Ue a trazione tedesca, mentre la partita Brexit è ancora aperta. In ogni caso nessun dubbio: il clamoroso leak che ha silurato il vicecancelliere viennese Heinz-Christian Strache è la notizia globale del giorno e lo resterà prevedibilmente per tutta la settimana di vigilia del voto europeo. Pesa, fra l’altro, la decisione immediata del cancelliere Sebastian Kurz di chiamare elezioni anticipate: giudicata subito l’unica via possibile per superare una gravissima crisi politico-istituzionale.
Il caso Austria – scoppiato nel cuore dell’Europa continentale, appena al di là del confine del Brennero – è stato d’altronde ignorato o quasi dai grandi media italiani: almeno a caldo, sia sulle prime pagine cartacee della domenica, sia sui siti. E forse è un piccolo caso di studio nel gran dibattere sul fake journalism, cioè sui modi e rischi della manipolazione mediatica della realtà. La dimensione manipolativa è d’altra parte insita nel giornalismo stesso, veicolo naturale di politica reale.
Riepiloghiamo il fatto. Due giornali non austriaci ma tedeschi (lo Spiegel, settimanale progressista di Amburgo, e la Suddeutsche Zeitung, bavarese e moderata) ricevono un video che mandano subito in rete (entrambe le testate affermano di averne verificato l’autenticità, ma di non conoscere gli autori del leak). Nel video Strache – leader del partito xenofobo austriaco Fpo – viene ritratto in una villa di Ibiza due mesi prima delle elezioni che nel 2017 portarono alla svolta a destra a Vienna. Il futuro vice-cancelliere s’intrattiene con una donna russa, sedicente nipote di un oligarca, che gli ventila finanziamenti elettorali in cambio di futuri appoggi. Nella conversazione spunta anche l’ipotesi che da Mosca venga pilotato l’acquisto di un grande quotidiano austriaco, per facilitare un avvicinamento di Vienna all’Ungheria di Orbán. Due anni dopo la trappola scatta, in apparente orologeria sul voto Ue: Strache si dimette, potendo solo lamentare che di “trappola illegale” si è trattato. E Kurz decide a tamburo battente una fuga in avanti, anzi: uno sganciamento brusco dagli alleati di estrema destra e una scommessa elettorale interna, destinata tuttavia ad attraversare già fra sei giorni una cruciale verifica europea.
Una delle sfide-chiave per Strasburgo riguarda infatti il Ppe: di cui il cancelliere tedesco Angela Merkel è leader ultima e di cui fa parte l’Övp di Kurz. Il Ppe deve difendere il proprio pericolante primato baricentrico all’europarlamento e la candidatura di punta del cristiano-sociale bavarese Manfred Weber a presidente della Commissione Ue, tenendo però a distanza supporti indesiderati da parte delle forze moderate sovraniste: anzitutto quelle dell’ungherese Viktor Orbán e della Lega italiana di Matteo Salvini.
Hanno quindi sorpreso solo inizialmente le posizioni anti-italiane di Kurz, premier conservatore di un Paese che sembra essere però soprattutto rientrato in una dimensione di “Anschluss 2.0” verso Berlino. Nonostante il 33enne cancelliere austriaco abbia costruito la sua vittoria anche sulle chiusure verso i migranti – proprie di Orbán e poi di Salvini – Vienna ha sempre mantenuto verso Roma le chiusure critiche della Merkel, di Macron, della Commissione di Bruxelles. E ultimamente Kurz è divenuto anche portavoce dei rigoristi europei nel tenere sotto pressione il governo giallo-verde di Roma sul rispetto dei parametri sul debito. Se tuttavia l’ombra delle influenze opache di Mosca ha accompagnato a lungo la Lega ma anche M5s, esse diventano ora apparentemente conclamate in Austria per l’alleato di governo di Kurz. A una settimana dal voto Ue.
Al di là dell’Atlantico nessuna sorpresa che il NYT ne approfitti per accreditare subito il leak come un’autentica “pistola fumante” di Vladimir Putin: quella che invece una martellante investigazione giudiziaria e giornalistica non è ancora riuscita a scovare e puntare contro Donald Trump. Neppure al di là della Manica, nella City londinese, amano più troppo gli oligarchi russi: sospettati di aver appoggiato con successo il Leave nel famigerato referendum del 2016, per il cui rovesciamento FT sta conducendo una campagna epocale. Ma il silenzio dei media italiani?
“Austriagate” presenta anche tutte le caratteristiche di un format sperimentato in Italia: un importante esponente politico di centro-destra viene incastrato da un’intercettazione in una trattativa con soggetti “mafiosi”. E questo proprio nelle ore in cui Salvini ha tenuto a Milano un comizio internazionale di forze sovraniste, con la partecipazione di figure come Marine Le Pen. Ma il dubbio politico-mediatico, in Italia, è rimasto ed è almeno in parte comprensibile: il governo austriaco – lo stesso aveva schierato i blindati al Brennero contro i migranti “italiani” – è divenuto quello cui Bruxelles e Berlino hanno affidato il bazooka tecnocratico in questa delicata fase pre-elettorale. Resta un oggetto non facile da maneggiare nella polemica finale di una campagna elettorale di opposizione concentrata su Salvini. Difficile avvalorare agli elettori italiani il ravvedimento finale di Kurz (ma solo perché premuto dal leak tedesco sulla presunta infiltrazione russa in cancelleria) e la sua abiura in extremis alla destra radicale.
Rimane, soprattutto, una questione di fondo: il video è autentico (come tanti brogliacci di intercettazioni giudiziarie pubblicate da molti anni sui giornali italiani, anche se “non pertinenti” o “de-contestualizzate”), ma era “autentica” anche la “nipote di Mubarak” in azione contro Strache? E chi ha diffuso il video? Con quali finalità?
L’operazione ha avuto origine (apparente) in Germania: dove, al di là delle cifre macroeconomiche, la situazione politico-istituzionale è estremamente tesa e instabile, avvolta nel tormentato “crepuscolo” della Merkel. Nessuno ha dimenticato, ad esempio, la clamorosa quasi-scissione dell’estate scorsa fra le “sorelle siamesi popolari” Cdu e Csu sulla questione migranti. Alla fine la Merkel l’ha avuto vinta sull’“orbaniano” (o “kurziano”..) Horst Seehofer, ministro degli Interni oltreché leader bavarese. È stato costretto a gettare la spugna e la designazione di Weber a spitzenkandidat europeo per il Ppe è stata parte di questo passaggio traumatico. Ma con Seehofer è stato dimissionato anche il capo dell’intelligence interna di Berlino, Hans-Georg Maassen: con l’accusa di aver dubitato dell’autenticità di alcuni video sui recenti moti xenofobi di Chemnitz. E se ora il video su Strache fosse una (autentica) “patacca” tedesca? Sparata da chi contro chi? E quante “patacche” girano – su tutti i media – nell’Europa tellurica di queste settimane? E perché lo Spiegel – quello dell’immortale copertina anti-italiana a base di spaghetti alla P38 – ha acceso la miccia dell’Austriagate e i media italiani che solitamente lo citano assieme a NYT e FT, sembrano invece voler oscurare il caso Strachen? E perché 14 anni fa il cancelliere tedesco uscente Gehrard Schroeder fu subito arruolato dagli oligarchi putiniani di Gazprom e i media tedeschi non si sono mai indignati?