Pochi giorni fa il ministero della Salute ha istituito un “Gruppo di lavoro di esperti in materia di disturbi dello spettro autistico” per rispondere, attraverso una Consensus conference, a due quesiti: a) se l’intervento comportamentale personalizzato intensivo, ABA (Applied Behaviour Analysis), sia il più appropriato per bambini 0-7 anni; b) quale sia la durata minima di ore per questo intervento, a seconda della gravità del disturbo.
Molte associazioni di genitori e molte società scientifiche, competenti nell’ambito dei disturbi del neuro-sviluppo, hanno sollevato però una serie di perplessità rispetto a questo modo di procedere del ministero, che con questa procedura sembra sconfessare le linee guida pubblicate pochi mesi fa dall’Istituto Superiore di Sanità, dopo oltre 10 anni di attesa. Le critiche rivolte all’intervento del ministero sono sia di metodo che di contenuto.
L’elaborazione di linee guida, regolarmente accreditate, richiede un lavoro assai più complesso di quanto accade con una Consensus conference e il rigore metodologico delle prime è garanzia della maggiore e migliore qualità del lavoro svolto. Le linee guida si fondano su evidenze scientifiche di grado superiore rispetto alle Consensus conferences e nel caso delle linee guida sull’autismo il documento finale è stato ulteriormente approvato da tre revisori esterni indipendenti.
Rispetto al primo quesito posto dal recente decreto ministeriale: se l’intervento comportamentale personalizzato intensivo basato sui principi ABA sia il più appropriato nella fascia 0-7 anni, le linee guida, dopo aver scandagliato tutta la lettura scientifica disponibile, affermano esplicitamente che le evidenze relative alla loro efficacia sono basse, per loro come per tutti gli altri tipi di trattamento per i quali è stata formulata analoga raccomandazione. Sottolineano come non ci siano in letteratura dati di ricerca che consentano di considerare un tipo di intervento “più appropriato” di un altro.
Non è emersa neppure nessuna evidenza sul numero di ore settimanali necessarie per ottenere risultati significativi, anche se sembra che ci sia una correlazione positiva tra l’insieme degli interventi fatti con il minore e la sua famiglia e gli outcomes a breve termine. L’estrema eterogeneità dello spettro autistico impedisce di formulare un’indicazione standardizzata valida per tutti i soggetti. Anche altre linee guida internazionali concordano con le linee guida italiane e sottolineano l’importanza di non basare i trattamenti su un numero standard di ore al giorno o alla settimana, ma di offrire alle persone autistiche le più ampie opportunità nei contesti di vita quotidiana per facilitare i progressi e ridurre le difficoltà. Si tratta di interventi complessi, non riducibili ad una somministrazione quantificabile a priori, al di fuori del contesto di vita del soggetto.
A questo punto il quesito che emerge con forza riguarda proprio il ministero della Salute; non è semplice capire perché non abbia ritenuto soddisfacenti gli indirizzi contenuti dalle linee guida elaborate nel 2023, giunti dopo oltre 12 anni dalla loro prima formulazione (ottobre 2011) e dopo 9 anni dalla esplicita richiesta della legge 134/2015 sull’autismo, 18 agosto 2015, articolo 2: “L’Istituto superiore di sanità aggiorna le Linee guida sul trattamento dei disturbi dello spettro autistico in tutte le età della vita sulla base dell’evoluzione delle conoscenze fisiopatologiche e terapeutiche derivanti dalla letteratura scientifica e dalle buone pratiche nazionali ed internazionali”.
È la domanda che si pongono molte famiglie afferenti alle più diverse associazioni sorte in questi anni a tutela dei diritti e degli interessi dei propri figli; desiderose di esercitare il loro diritto di scelta non solo riguardo al metodo, ma anche riguardo alle figure dei professionisti con cui debbono interfacciarsi quotidianamente. Ciò che chiedono è che venga superata la disomogeneità dei sistemi regionali; che ci sia un personale competente e preparato a scuola e nei vari centri di abilitazione-riabilitazione; che sia garantita la presa in carico e la continuità dei diversi professionisti, a cominciare dal NPI, perché nel trascorrere degli anni si possano valutare gli effettivi progressi compiuti dal soggetto; e che la copertura economica di trattamenti lunghi e complessi venga assicurata in modo adeguato ai bisogni di ognuno, secondo una logica di rete che faciliti interdisciplinarietà e interprofessionalità.
Senza dimenticare che occorre rilanciare una ricerca scientifica che abbia il coraggio di tornare a porsi la domanda sulle cause dell’autismo, tuttora avvolte in un mistero in cui è difficile penetrare. Perché di autismo sappiamo ancora poco: abbiamo molte domande e poche risposte sull’efficacia delle metodologie di intervento e sui mezzi più idonei da utilizzare necessari, ma praticamente nessuna risposta soddisfacente sulle cause e sui perché. Ed è su questo aspetto che vorremo un più deciso ed efficace intervento del ministero: che si tratti di cause genetiche, epigenetiche, immunologiche o autoimmuni e metaboliche, serve una task force in grado di definire gli aspetti eziopatogenetici di una condizione – ad alcuni non piace chiamarla patologia – che comunque si sta diffondendo sempre più. Prossimo appuntamento la Giornata internazionale della consapevolezza dell’autismo, e speriamo che per allora il ministero offra risposte concrete.
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