Viviamo in un mondo che cambia molto velocemente. Con rapidità un tempo impensabile, gli avanzamenti tecnologici stanno rivoluzionando molti settori, con conseguenze ad ampissimo raggio sugli aspetti fondamentali dell’organizzazione della nostra società, fra cui come acquisiamo informazioni e come educhiamo i nostri ragazzi, che tipologia di lavori facciamo e come trascorriamo il tempo libero.



Uno dei settori destinati a grandi cambiamenti è quello del trasporto e della mobilità, interessato dalla transizione, ormai prossima, verso i veicoli autonomi. I veicoli autonomi, o auto senza pilota, sono veicoli guidati da un software. Fra alcuni anni, presumibilmente una decina, la tecnologia sarà in grado di consegnarci delle auto che non avranno bisogno di un guidatore in carne e ossa, ma, come altri veicoli, fra cui le metropolitane di nuova generazione, saranno guidati da un computer. Ciò sarà reso possibile dalla tecnologia GPS, che è in grado di monitorare con estrema precisione il posizionamento dei veicoli, e dallo sviluppo dell’intelligenza artificiale, che permette, con crescente accuratezza, di riconoscere pericoli e prevedere comportamenti. Dunque, il computer dovrebbe essere in grado di reagire in modo efficace a ciò che accade lungo la strada: a regime, meglio del guidatore medio umano.



Lo sviluppo delle auto autonome avrà un impatto molto forte sulla nostra vita quotidiana. Comporterà senz’altro grandi benefici. Perderemo meno tempo e saremo soggetti a meno stress. Non dovendo guidare, il tempo che passiamo in auto lo potremo utilmente dedicare ad altre attività. Gli interni delle automobili, prive di volante, pedali e cambio, potranno essere completamente ridisegnati: l’auto potrebbe quindi a tutti gli effetti diventare, ad esempio, un ufficio mobile, oppure una sala nella quale potremo vedere video proiettati.

Muoversi in auto diventerà più sicuro. Le auto autonome sono destinate a ridurre significativamente il numero di incidenti stradali, che, attualmente, nel 90% dei casi, sono dovuti a errori umani, e di conseguenza evitabili. Un recente studio di Atkerney stima che gli incidenti si ridurranno del 70%.



Cambierà anche, molto presumibilmente, l’organizzazione del traffico urbano. Se fino a oggi la gran parte dei viaggiatori guida un’auto di proprietà, è presumibile che in futuro diventeranno invece prevalenti i servizi di taxi e di car sharing. Le auto autonome potrebbero, infatti, spostarsi da sole per raggiungere gli utenti che ne richiedono il servizio, favorendo un’efficiente rotazione dei mezzi che permette di ridurre le inefficienze derivanti da veicoli che vengono utilizzati solo raramente.

La nostra mobilità dunque tenderà sempre più a essere gestita da imprese dedite al servizio di mobilità (mobility as a service): in pratica, dei taxi senza guidatori. Ciò contribuirà anche a razionalizzare il traffico, distribuendolo in modo più omogeneo fra le diverse strade e fra le diverse ore del giorno, mediante appropriate strategie di prezzo. Ciò avrà ricadute positive anche sull’inquinamento, che si stima si ridurrà del 30%.

In aggregato, un recente studio stima che l’introduzione delle auto autonome aumenterà il Pil statunitense di circa l’8%, e valori simili sono ipotizzabili per le altre economie avanzate che adotteranno la tecnologia su larga scala. Ci saranno anche dei costi? Sicuramente sì. Le ricadute occupazionali saranno pesanti. I lavori, fra gli altri, di autista di auto, tassista e camionista, almeno come sono concepiti attualmente, scompariranno. Intere filiere produttive dovranno essere ripensate, per i cambiamenti che interverranno nella logistica. I produttori di auto tradizionali, se non sapranno adeguarsi alle tecnologie autonome, rischieranno di essere spiazzati da nuove imprese, che verosimilmente sceglieranno di localizzarsi nei Paesi e nelle regioni più produttive, presumibilmente quelle maggiormente dotate di capitale umano. Allo stesso tempo, i fornitori di componenti dovranno essere in grado di riconvertirsi. Le auto autonome consentiranno infatti di ridurre significativamente la quantità di componenti e il loro tasso di rimpiazzo, il che comporterà una riduzione nell’ordine del 30% dei costi di manutenzione del veicoli.

Quindi, sebbene, in aggregato, la transizione verso le auto autonome sia destinata ad apportare grandi benefici complessivi, ci saranno alcuni gruppi che, come quasi sempre per le innovazioni di portata tanto significativa, vedranno la loro situazione peggiorare. Il rischio è dunque che si formi un’opposizione tale da bloccare l’adozione dell’innovazione. L’opposizione alle innovazioni storicamente proviene non solo da coloro che da esse saranno danneggiate, ma anche da chi, pur potendone trarre beneficio, per avversione al rischio teme il cambiamento. Qualora la coalizione fra questi due gruppi di oppositori effettivamente si formasse e riuscisse a bloccare, o rallentare, le auto autonome, gli effetti sarebbero deleteri, perché allontanerebbero ulteriormente il Paese dalla frontiera dell’innovazione, con conseguenze negative sulla già debole produttività e, in generale, sulla sua attrattività.

Per ridurre l’opposizione, e anche per favorire una transizione più equa verso i veicoli autonomi, serve avviare un percorso che ci porti a essere pronti quando essi arriveranno. Innanzitutto, occorre raccogliere la sfida della formazione: per coloro che all’improvviso perderanno il proprio lavoro, servirà concepire un sistema che permetta di riconvertirsi verso altre attività. A questo dovranno probabilmente essere associate, nel breve periodo, delle forme di ammortizzatori sociali.

Serve inoltre dotarsi delle regole relativamente alla reazione dei software che guidano i veicoli autonomi in caso di pericolo. Supponiamo che, all’improvviso, una persona attraversi la strada, e la macchina abbia due possibilità: deviare e finire fuori strada, ferendo il conducente del veicolo e risparmiando il pedone, oppure investire il pedone, e ferirlo, limitando i danni per il passeggero del veicolo. Quale soluzione sceglierà il software? E nel caso estremo in cui, purtroppo, il software dovesse scegliere fra la vita del pedone e quella del passeggero, come sceglierà? Si tratta di questioni che è necessario discutere e definire.

È importante, infine, anche riflettere sull’organizzazione del mercato della mobilità. Fra le varie questioni da risolvere, particolarmente rilevanti sono quelle delle regole a cui dovranno sottostare i privati (come, ad esempio, Uber ed Enjoy) che gestiranno flotte di auto autonome e offriranno il servizio di trasporto, del ruolo dell’operatore pubblico, e dei soggetti (pubblici o privati) che finanzieranno l’adeguamento infrastrutturale, consistente ad esempio nell’installazione di sensori, che favorisce l’impiego di auto autonome.

Di questi temi di carattere economico, Alessandro Fedele, mio collega all’università di Bolzano, Alberto Iozzi, dell’Università di Tor Vergata, ed io ci stiamo occupando nell’ambito di una ricerca, i cui risultati provvisori sono stati presentati al simposio sui veicoli autonomi organizzato dal National Bureau of Economic Research a Stanford, finalizzata a studiare l’organizzazione ottimale dei servizi di mobilità in un contesto di auto autonome.

È auspicabile un dibattito, esteso alla comunità accademica ma anche alla sfera politica, per non perdere l’occasione di approfittare di un’innovazione radicale, che, se ben gestita, potrebbe contribuire a risollevare le sorti economiche del Paese.