Essere spinti nel vuoto e cadere in piedi, indenni e tra gli applausi, dopo aver fatto una serie di acrobazie degne di un tuffatore olimpionico. Questo è quello che stanno cercando di fare i vertici delle case automobilistiche europee che “spinti” da una legislazione comunitaria idiota e autolesionista, dalle autorità cinesi, da un’ondata ambientalista col paraocchi e da una corsa tecnologica della quale non si vede un reale futuro, hanno avuto un’idea: usare tutto questo per fare i soldi veri puntando sulla più grande sostituzione del parco circolante mai tentata al mondo.
Due numeri per capire. Considerando che oggi in Europa viaggiano circa 270 milioni di auto, se un automobilista europeo su due decidesse di comprare un’auto elettrica o elettrificata nei prossimi cinque anni le vendite nel continente quasi raddoppierebbero salendo da 15 milioni di vetture immatricolate (la media degli ultimi dieci anni) a 27 milioni per un quinquennio. Se fosse soltanto uno su tre le vendite toccherebbero quota 18 milioni nello stesso arco di tempo aumentando del 20%. Se invece le cose andassero malissimo e fosse solo uno su quattro si continuerebbe a vendere più o meno lo stesso numero di auto del passato, ma resterebbe un mercato robusto per cinque anni. Una sorta di miracolo per un’industria matura come quella automobilistica.
Anche i margini di guadagno, nel medio periodo, potrebbero aumentare perché si punta sugli incentivi economici delle amministrazioni pubbliche per spingere le vendite. Inoltre, un’auto elettrica è più semplice da realizzare di una con un motore termico e ha bisogno di molta meno manodopera. Tagliare quest’ultima per risparmiare sarà per tutti un passaggio obbligato, sostituendo costi fissi con costi variabili, quelli delle batterie che, per ora, costano un botto, ma sembra logico, anche se non certo, pensare che i costi scendano nel corso dei prossimi anni.
Solo ragionando in questi termini si può spiegare il comportamento che le grandi case automobilistiche tedesche e francesi hanno tenuto in questi ultimi anni. Dopo il dieselgate hanno alzato bandiera bianca e hanno permesso l’approvazione di regolamenti europei che hanno, di fatto, messo fuori mercato il prodotto che realizzavano da anni. Credere che ciò sia avvenuto senza il loro consenso significa pensare che il settore non conti nulla in Germania (anche se vale con l’indotto il 36% del Pil tedesco e occupa 1,7 milioni di persone) o in Francia dove lo Stato è uno degli azionisti principali sia di Renault che di Psa. E significa pensare che Germania e Francia non contino niente nelle decisioni prese a Bruxelles. Non solo. Se escono notizie palesemente artefatte per mettere in cattiva luce i motori termici, nessuno reagisce, mentre gli uffici stampa del settore automotive sono impegnati nel magnificare ogni aspetto positivo delle auto elettriche e a nasconderne ogni lato negativo.
Le case automobilistiche, però, dovranno fare i conti con i loro clienti. Che a loro volta, a casa, fanno i conti con i tempi di ricarica, le autonomie, i costi della vettura e quelli dell’energia elettrica, la presenza o meno di un box privato, il pericolo di incendio. E soprattutto con un cambio culturale difficilissimo da fare perché alla fine conviene solo a pochi. A dispetto dei megabolli, dei disincentivi all’acquisto, dei divieti di circolazione, in molti potrebbero non aderire alla maxi rottamazione sognata dai costruttori d’auto.
Se, nonostante tutto, invece, il piano (o, forse, è meglio definirla la scommessa) dei vertici delle aziende del settore funzionasse, le case automobilistiche diventerebbero dei carrozzieri assemblatori di componenti realizzati da altri. Ma non importa come si fanno i soldi, se si continuano a farli. Molti resteranno senza lavoro nelle fabbriche, nell’indotto e nelle officine che riparano le auto con motore termico. Ma in Germania e in Francia le protezioni sociali dei lavoratori licenziati funzionano molto bene e non sarà un dramma per nessuno. E in Italia?
Le aziende di componenti dovranno cambiare e lo stanno già facendo, ma il gioco si fa davvero duro. John Elkann, invece, aveva solo due alternative: o aprire i cordoni della borsa per fare investimenti e rientrare nel grande gioco o passare la mano, portare a casa dei quattrini e fare giocare la partite ad altri sperando di goderne, almeno un po’, i benefici. Ha scelto la seconda, dal suo punto di vista giustamente. I lavoratori delle sue ex fabbriche di alternative non ne avranno molte.