Parliamo di auto. Anzi di transizione verso l’auto elettrica. Non è un tema urgente per l’Europa alla vigilia di appuntamenti chiave sul Patto di stabilità, sul Mes e su altri dossier in arrivo nelle prossime settimane. Ma il tema resta caldo e senz’altro più importante delle scaramucce sui balneari o le scazzottate per la carne sintetica. La transizione verso l’elettrico è destinata a mobilitare fino a 57 mila miliardi entro il 2050, si legge su Bloomberg. Ma le trasformazioni che imporrà all’apparato produttivo saranno ancor più rilevanti per l’economia globale alle prese con la gestione delle materie prime, dell’innovazione tecnologica, del riassetto produttivo. Un tema immenso che Impone scelte e rinunce.



E così, tanto per scendere nel concreto, ci piace fare un focus sullo stato dell’arte in due Paesi storicamente vicini e spesso in competizione: Italia e Francia. Due Paesi con due gruppi, Renault e Stellantis, per tanti versi simili a partire dalla presenza in entrambi di un azionista forte quale lo Stato francese. Ma anche due realtà molto differenti fra loro che oggi prendono strade diverse di fronte all’elettrico scegliendo soluzioni che si richiamo alla loro storia.



Renault è dalla fine della Seconda guerra mondiale un’azienda pubblica, sotto il controllo diretto dello Stato, che ha difeso fino all’ultimo la sua egemonia anche nei confronti dell’azionista Nissan. È l’interpretazione coerente della presenza dello Stato nell’economia, seppur declinata in maniera innovativa. Stellantis, al contrario, è il frutto dell’integrazione tra Peugeot e Fiat Chrysler, entrambe controllate da due dinastie familiari, più una quota in Psa di proprietà dello Stato francese, entrato però nella compagine azionaria per far a suo tempo da contrappeso ai cinesi di Dongfeng, oggi usciti dal capitale, piuttosto che per afre politica economica.



Renault è l’interpretazione moderna della volontà dello Stato, Stellantis è una realtà con più anime: Exor, italiana d’origine (anche se la famiglia Agnelli ha scelto un marchio di origine lussemburghese), ha una quota di maggioranza relativa, ma si ha la sensazione le decisioni più importanti vengano prese a Parigi nell’ufficio di Carlos Tavares, cui fa capo la quota determinante in consiglio. Naturalmente dopo una consultazione con lo staff del Presidente John Elkann, collegato da Londra piuttosto che da Torino..

Due gruppi diversi, insomma, i cui destini però si sono spesso incrociati. Non è passato molto tempo da quando John Elkann annunciò l’imminente fusione tra Fca e Renault, poi abortita nel giro di pochi giorni per l’ostilità della parte pubblica transalpina. Tavares colse la palla al balzo proponendo a Exor il progetto Stellantis. Ma gli intrecci non finiscono qui. Oggi a guidare Renault è Luca de Meo, un passato da stretto collaboratore di Sergio Marchionne in Fiat. L’uomo forte di Stellantis, il portoghese Tavares, a sua volta vanta un lungo passato in Renault come numero due di Carlos Ghosn.

Due gruppi diversi ma alle prese con lo stesso problema. Anzi, il problema dei problemi: come gestire la transizione dal motore a combustione all’elettrico, ovvero come garantire un futuro all’industria manifatturiera più importante, quella dell’auto, con tutte le ricadute che comporta per il nostro futuro. E qui, a giudicare dalle ultime mosse, strategie e soluzioni divergono. Stellantis, già in ritardo nelle soluzioni full electric, ha deciso di bruciare le tappe sia in Europa che negli Usa. Dopo aver chiuso la fabbrica Jeep in Cina, Tavares ha impostato in modo nuovo il rapporto con Pechino. Non si tratta più di andare a vendere tecnologia e prodotti nel Celeste Impero, semmai di acquistare know-how Di qui la decisione di comprare una quota in Leapmotor, una piccola casa cinese, ma con un grosso patrimonio di competenze nello sviluppo delle auto elettriche di piccola cilindrata. L’obiettivo è di importare queste vetture in Europa dove, secondo gli esperti, la Cina è destinata a conquistare un quinto almeno del mercato. Invece di far la guerra all’auto gialla, dunque, si sceglie la strada della collaborazione, concentrando i propri sforzi sulle vetture di alta gamma, più redditizie. Ma che richiedono meno personale. Di qui la decisione di offrire agevolazioni per la pensione a migliaia di dipendenti in Italia e negli Stati Uniti. Senza toccare la Francia, almeno per ora.

Diverso, e ben più radicale, il percorso scelto da de Meo per Renault. L’elettrico à stato separato dal resto della Régie per confluire in Ampere. La nuova società (allargata a Nissan e Mitsubishi) punta a produrre 200 mila pezzi l’anno prossimo per salire a un milione nel 2031 grazie anche a un veicolo urbano da 20 mila euro. Ampere, che mira a far concorrenza ai cinesi e a Tesla, prevede 11 mila dipendenti, per un terzo ingegneri.

Tutto bello, salvo il fatto che, almeno per ora, de Meo fatica a trovare i capitali. Non i dieci miliardi di euro da lui sperati per l’Ipo, ma nemmeno i quattro necessari per partire. Ma il manager italiano non è tipo da arrendersi. Vedremo. Per ora limitiamoci a prender atto delle diverse strategie aziendali, del diverso peso dei sistemi Paesi e del diverso impegno per garantire all’industria nel suo complesso (materie prime, batterie e investimenti commessi) un futuro. È probabile che si rivelino vincenti per le aziende sia le mosse di Tavares che quelle di de Meo, ma l’impatto sul futuro dei Paesi coinvolti sarà diverso.

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