Il settore dell’auto vive tempi di grandi cambiamenti. Soprattutto ora che l’Unione europea ha stabilito che dal 2035 si darà l’addio alla produzione di macchine a benzina o diesel per buttarsi sulle auto elettriche.

Una decisione foriera di polemiche e di preoccupazioni per la sussistenza stessa del comparto e anche per le conseguenze occupazionali. Anche le imprese sono spaccate nel sostegno al provvedimento europeo. “



Tornare indietro si può ancora – spiega Pierluigi Bonora, giornalista de Il Giornale – ma è difficile. I giochi potrebbero essere già fatti, a meno che non succeda qualcosa con il nuovo esecutivo europeo che arriverà dalle prossime elezioni, che potrebbe riconsiderare tutto”.

La decisione dell’Ue di produrre solo auto elettriche dal 2035 ha già sortito qualche effetto? Le aziende hanno già cambiato o stanno cambiando i loro piani?



Innanzitutto regna un grande caos, una grande confusione, vediamo schieramenti diversi anche all’interno dello stesso mondo automotive. Abbiamo ad esempio il comunicato emesso in questi giorni da Unrae, che rappresenta le case estere in Italia, che praticamente sposa la decisione del Parlamento europeo. Ma siamo sicuri che all’interno dell’Unrae, al di là della nota che hanno fatto, tutte le case siano di questa idea? Ho i miei dubbi.

In Italia le reazioni quali sono state?

Nella stessa filiera automotive italiana c’è chi è favorevole, chi è contrario, chi nicchia: una situazione di estrema incertezza. Il fatto è che il Parlamento europeo ha deciso e allo stato dell’arte dovrebbe essere la decisione finale. Però ci sono delle aperture, spiragli. La situazione internazionale è quella che è, vediamo anche i dati del mercato dell’auto che hanno visto la Germania, dopo un brillante 2022 per l’elettrico, crollare di oltre il 10%, questo perché sono stati tagliati gli incentivi. Senza incentivi è difficile che questo mercato regga.



Al momento comprare una macchina di quel tipo è molto più costoso rispetto alle altre?

In questo momento siamo abbondantemente oltre i 30mila euro. Faccio mia una frase del presidente di Asconauto Roberto Scarabel: ‘Se una macchina costa 38 mila euro e gliene togli 5mila rispetto al costo di una macchina tradizionale che è intorno ai 22-23mila euro ballano ancora 10mila euro’. E poi c’è anche il fatto delle infrastrutture di ricarica, non tutte le città sono come Milano dove ci sono un po’ di colonnine. Io abito in un paese dove non esistono colonnine, per fare una ricarica di 200 chilometri devo fare almeno 5 o 6 chilometri, lasciare la macchina delle ore, tornare a prenderla. Insomma, ci sono ancora tantissimi problemi da risolvere. Si è partiti alla rovescia: prima doveva essere definito un piano per le energie rinnovabili, per ottenere energia nella rete e poi avviare la produzione di queste automobili.

Ma il settore automobilistico è arrivato impreparato a questo momento? In fondo di questa possibile svolta si parlava già da un po’, giusto?

Più che impreparato diciamo che ha sottovalutato. Fino a prima del Covid si era impostata questa soluzione che poi ha subito una forte accelerazione approfittando delle distrazioni della pandemia, di tutti i problemi a livello geopolitico, per far prevalere l’ideologia sul raziocinio. C’è un commissario europeo, Thierry Breton, commissario al mercato interno e all’industria, che ha parlato di scelta democratica. Ma quale scelta democratica? L’hanno deciso loro, l’ha deciso questa commissione europea che l’ha portata avanti senza ascoltare ragioni in una maniera unilaterale. E fa pensare che ci siano delle fortissime pressioni esterne che penso prima o poi verranno fuori.

Da dove arrivano queste pressioni, pressioni cinesi?

Ma anche le lobby, l’ideologia green, c’è anche la finanza green che ha da guadagnarci. Fortissime pressioni che hanno portato a questa situazione.

Si dice intanto che Tesla avrebbe già ridotto gli investimenti per le batterie elettriche in Germania.

Be’, abbiamo appena visto che il mercato tedesco di gennaio ha perso il 10,3% con gli incentivi ridotti, se continuasse così. Tesla, comunque, non se la sta passando molto bene perché sta perdendo la leadership a livello elettrico a favore dei cinesi. Non so se la Byd o qualche altra casa concorrente cinese ha superato i 100 miliardi di dollari come valore di mercato. Questi arrivano tra un po’ con una vettura elettrica che costa 8mila euro.

A questo prezzo potrebbe essere appetibile sul mercato.

Sì, appetibile, certo, ma va contro gli interessi dell’industria automotive europea.

Se la producono loro e poi la portano qui?

Sì, oppure Byd sta cercando di aprire una fabbrica in Europa. L’Europa non ha posto dei limiti, paletti, loro fanno quello che vogliono.

Ma nell’ambito di questo piano per passare all’elettrico è stato fatto uno studio costi-benefici?

Se ne parla, ci sono un sacco di studi, ma ci sono studi che parlano bene dell’auto elettrica e studi che parlano male dell’auto elettrica. Questa è la verità.

Quindi di fatto si è presa una decisione senza che ci fosse un quadro ben definito?

Proprio così. Ma soprattutto il settore automobilistico, e qui metto di mezzo l’Acea, l’associazione europea dei costruttori di automobili, l’ha presa un po’ sottogamba. Io metto sul banco degli imputati anche il settore dell’auto che non ha reagito come avrebbe dovuto, forse per farsi perdonare il casino successo con il dieselgate e per far vedere che sono green, senza fare attenzione alle conseguenze.

Le novità potrebbero portare anche posti di lavoro?

Certo, si dice che anche l’elettrico porterà posti di lavoro, può darsi, ma fra quanti anni? Basta guardare l’Italia, aveva il 3,7 di quota di elettrico lo scorso anno e adesso ha il 2,6 e ci sono ancora oltre il 90% degli incentivi sull’elettrico a disposizione, del fondo introdotto dal governo. Sono andati esauriti gli incentivi sulle auto tradizionali. La gente sta guardando alla realtà dei fatti, anche alla comodità: con l’auto elettrica adesso perdi la libertà. Se vai da Milano a Roma e hai il serbatoio pieno a metà sai che puoi fare rifornimento di benzina dove vuoi. Se vai con l’auto elettrica devi star lì a programmare il viaggio: mi devo fermare ogni 200 chilometri per fare il pieno, sì, e quanto ci metto? Per una volta puoi farlo, mangi un boccone e fai un giro, ma non è che puoi perdere sei-otto ore ad aspettare. E poi in autostrada le colonnine sono pochissime.

Da un punto di vista industriale le aziende come si comportano in una situazione del genere, come gestiscono la trasformazione?

C’è una riconversione che sta piano piano andando avanti, ci sono 8,7 miliardi stanziati dal Governo Draghi  da qui al 2030. Però comprendono sia gli incentivi, sia la riconversione produttiva, non è detto che bastino. Devi formare la gente, cambiare gli stabilimenti. Se un operaio è anni che lavora sulla catena di montaggio di Termoli di motori della Fiat improvvisamente si ritrova a fare le batterie?

Le grandi aziende forse possono riuscire a organizzarsi e alcune lo stanno già facendo, ma ci sono tutte le imprese piccole e medie che lavorano per loro per le quali la transizione sarà ancora più difficile.

Ci sono 350mila posti a rischio nelle sole autofficine. Si sono fatti i conti senza l’oste. La vedo veramente dura. Io non sono contro l’elettrico, sono per una visione democratica del problema, tra le tante soluzioni green esistenti. Ci sono i biocarburanti, i carburanti sintetici, l’idrogeno. Per esempio, l’Eni ha messo in campo questo diesel green. Seguiamo anche queste strade, poi chi si vuole comprare la macchina elettrica se la compri. Uno sceglie nell’ambito di una serie di soluzioni virtuose.

(Paolo Rossetti)

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