Ci sono momenti storici in cui si parla di rivoluzione industriale quando nella realtà si tratta di evoluzione, e momenti in cui, dovendo ridefinire dei paradigmi validi da più di un secolo, ci si trova realmente a vivere una rivoluzione industriale. È il caso del passaggio, che il nostro continente si è imposto, dalla produzione di motori endotermici all’utilizzo di propulsori elettrici in tutto il settore dell’automotive.
Questo passaggio va a stravolgere l’attività dei costruttori europei di macchine utensili che hanno lavorato per realizzare macchine sempre più specializzate ed efficienti per la costruzione, in milioni di pezzi, delle parti che formano i motori a scoppio, parti che, nel breve termine, non saranno più necessarie. Come capita con tutte le rivoluzioni, questo cambiamento così repentino e così radicale è fonte di gravi preoccupazioni per chi teme di non ritrovare un posto nel nuovo mondo che va a nascere.
UCIMU-SISTEMI PER PRODURRE, l’associazione dei costruttori italiani di macchine utensili, robotica e automazione, con ANFIA, associazione della filiera automotive, hanno richiesto e ottenuto da ICE-Agenzia la realizzazione di uno studio, che analizza in modo quantitativo le conseguenze, in termini di domanda, fatturato e occupazione, della transizione elettrica sia per i fornitori della filiera automobilistica, sia per i costruttori di macchine utensili. Lo scopo di questo studio è evitare di procedere a sensazioni, ma, al contrario, disporre di elementi il più possibile certi e oggettivi, che descrivano la tendenza in atto e le sue conseguenze.
Dobbiamo sottolineare l’importanza di questi dati perché fra domanda diretta e catena di fornitura, più del 45% del fatturato delle imprese del settore macchine utensili è indirizzata all’industria automotive. Lo studio, condotto dalla società Alix Partners, scelta per la sua notevole esperienza nel settore automotive, inquadra correttamente il passaggio alla mobilità elettrica nel contesto economico più generale e nel particolare momento che l’industria automobilistica attraversa.
Le varie regioni del mondo sono uscite in modo molto diverso dalla tempesta che è stato il Covid-19: l’India ha superato la Cina come area col maggior tasso di crescita, gli Stati Uniti si assestano su ritmi minori ma rispettabili per un’economia sviluppata, il Giappone e i Paesi europei appaiono quelli maggiormente in difficoltà, con economie che faticano a crescere di un punto percentuale ogni anno. Queste difficoltà si riflettono, inevitabilmente, nell’andamento della domanda per nuovi autoveicoli: come mostra lo studio, la Cina ha già superato i livelli pre-crisi, gli Stati Uniti sono in procinto di farlo nel volgere di un paio d’anni, l’Europa arranca ed è ancora molto lontana da recuperare i volumi del 2019.
A loro volta, i dati di vendita si riflettono su quelli di produzione: considerando il continente europeo, che assorbe il 70% delle vendite di macchine utensili italiane destinate al comparto auto, il volume di produzione del 2023, circa 18 milioni di veicoli, dovrebbe restare stagnante fino al 2030, con anzi alcuni anni di particolare debolezza. Infatti, sui nostri mercati stanno già arrivando i costruttori cinesi, con prodotti tecnologicamente ed esteticamente adeguati alle richieste dei consumatori europei (e con forti aiuti da parte del loro Governo) e questo ridurrà la domanda che si rivolgerà ai prodotti locali.
Oltre a considerare i volumi complessivi, lo studio ha preso in esame quella che abbiamo definito la “rivoluzione dell’elettrico”: dovendo muoversi secondo le direttive dall’Unione europea, l’industria si sta spostando a ritmi accelerati verso la produzione di veicoli elettrici “puri” (a batteria), la cui quota dovrebbe passare dal 12% del 2023 al 64% del 2030. L’Italia non fa eccezione, anzi il contrario. A fronte di un numero di automobili prodotte sostanzialmente stabile (800.000 nel 2023 che diventeranno 900.000 nel 2030), si prevede che la quota di veicoli BEV arriverà al 92% alla fine del decennio.
Questo passaggio sarà parzialmente alleviato dalla forte specializzazione italiana nella produzione di motori, destinati in parte a impianti di assemblaggi al di fuori dei confini. In questo caso, si dovrebbe passare da un milione di unità prodotte nel 2023 (per l’84% a combustione) a ben 1,4 milioni costruiti nel 2030, di cui ancora 600.000 saranno a combustione.
Relativamente al settore delle macchine utensili, nello studio appare chiaro che le conseguenze dell’elettrificazione, a seconda delle tecnologie sviluppate, sono molto diverse, anzi in contrapposizione.
Le macchine utensili ad asportazione sono utilizzate in primo luogo per la costruzione delle parti dei motori a scoppio, mentre le macchine a deformazione e quelle per taglio laser sono principalmente impiegate per la lavorazione della scocca e della carrozzeria (e per alcune parti dei motori elettrici). Questo implica che le macchine che utilizzano la prima tecnologia saranno richieste molto meno dall’industria automobilistica, a parità di numero di veicoli realizzati. Al contrario, la domanda per le macchine a deformazione e laser dovrebbe aumentare, per le nuove prestazioni richieste alla scocca dalle automobili elettriche (le batterie pesano e molto).
Lo studio si è spinto fino a quantificare con precisione le perdite e i guadagni delle vendite delle diverse tecnologie, stimando che nel 2030, rispetto al 2023, ci sarà un calo del 26% del fatturato automotive per i produttori di macchine ad asportazione, a fronte di un aumento del 10% per quelli di macchine a deformazione e laser.
Complessivamente, le vendite del settore ai clienti automotive diminuiranno del 9%. Quale sarà l’impatto di un simile calo sul settore e sull’occupazione? Alix ha considerato due effetti di questo dato: da un lato, ci sarà una perdita di produzione strutturale, perché il settore automotive avrà bisogno di meno macchine rispetto al passato; dall’altro, le imprese meno solide finanziariamente potrebbero essere chiamate ad affrontare periodi complessi. A fronte di queste conseguenze negative, ci sarà un piccolo miglioramento nell’occupazione dei comparti deformazione e laser, ma il dato finale è di circa 2.400 posti di lavoro a rischio, pari al 17% dei lavoratori delle imprese di macchine utensili che vendono all’industria dell’auto.
La parte finale dello studio affronta il tema di come le imprese possono reagire a questa situazione, in modo da mettere in atto strategie che permettano di evitare le conseguenze negative che si avrebbero a subire passivamente i trend di mercato.
Una prima strategia è quella di rafforzare il proprio posizionamento: una domanda di macchine adatte alla realizzazione di parti per motori endotermici continuerà a esserci, in particolare al di fuori d’Europa. Il settore diventerà una nicchia rispetto alle dimensioni storiche, ma le aziende con i prodotti migliori potranno continuare a prosperare al suo interno.
Una seconda strategia prevede la diversificazione tecnologica, pur restando all’interno del mondo automotive: sviluppare macchine che servano alla produzione dei componenti dei veicoli elettrici che hanno, comunque, necessità di lavorazioni meccaniche o, in prospettiva, investire in macchinari innovativi in previsione di altri modelli di mobilità sostenibile (per esempio i motori a idrogeno).
Una terza possibilità è quella di sfruttare al massimo le competenze tecnologiche per “invadere” nuovi settori clienti, con maggiori prospettive di crescita: aerospace e difesa, oppure energie rinnovabili.
Tutte queste strategie richiedono forti investimenti per lo sviluppo di macchinari più efficienti o per l’acquisizione di nuove competenze, per cui riemerge un tema classico dell’industria italiana: la necessità della crescita dimensionale per avere le risorse sufficienti a finanziare gli investimenti. E questo non è certo qualcosa di scontato o facile, come dimostra il fatto che se ne parli da molto tempo.
Pur comprendendo le giuste preoccupazioni ambientali che sono alla base della scelta di puntare sulla propulsione elettrica, è opportuno ricordare alla classe politica, nazionale ed europea, che la Sostenibilità è un concetto multidimensionale. Si articola, infatti, su tre ambiti, che sono quello ambientale, quello sociale e quello economico. Se un miglioramento nel campo della sostenibilità ambientale viene perseguito con scelte che mettono a rischio la sostenibilità economica e sociale, l’esito che possiamo attenderci è il fallimento complessivo del progetto.
Compito della politica è introdurre provvedimenti studiati con cura, che tengano conto di tutti i fattori coinvolti e valutino attentamente il bilanciamento di costi e benefici nelle varie dimensioni coinvolte.
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