Mediamente una macchina Euro 6 inquina meno dello stesso modello di classe Euro 4. Ma poi dipende quanto e come la si usa. Se il chilometraggio annuale è molto più alto e chi guida ha il piede pesante, alla fine potrebbe essere più dannosa per l’ambiente quella che sulla carta risulta più green. Così il 26% delle Euro 4 in Italia ha un impatto di anidride carbonica inferiore al valore di emissione medio delle Euro 6. Una circostanza che deve indurre a una valutazione diversa dei divieti di circolazione introdotti da alcune città. È una delle verità evidenziate da una ricerca del Politecnico di Milano insieme a Unipol. L’altra, come spiega Sergio Savaresi, professore ordinario di automazione nei veicoli, direttore del dipartimento di elettronica, informazione e bioingegneria del Politecnico di Milano, è che per la transizione alle vetture elettriche occorre cambiare il modello di mobilità e passare al car sharing con macchina autonoma. Senza questa rivoluzione i costi restano altissimi: cambiando il 20% delle auto endotermiche con quelle elettriche si raggiungerebbe il break even, sopra quella percentuale il singolo cittadino o la collettività (con i sussidi) dovranno accollarsi una spesa molto alta.



Professore, come è possibile che una macchina Euro 4 inquini meno di una Euro 6?

Quando si parla di Euro 4, Euro 5 ed Euro 6 il problema è che ci si riferisce alla loro emissione media al chilometro. Ed è sicuramente vero che una macchina Euro 6 emette meno inquinante, mediamente al chilometro, dell’equivalente Euro 4. Ma se prendo una singola macchina e cerco di capire che impatto ambientale ha avuto in un anno devo tenere conto di che classe è, se è piccola o grossa (un conto è un Euro 6 Ferrari, un conto una Panda) ma soprattutto quanto e come viene usata: se il conducente continua ad accelerare e frenare, se viaggia a velocità molto alte, se la utilizza molto in città o su strade extraurbane. L’impatto inquinante di un’automobile dipende dal prodotto di questi fattori.



Cosa risulta da questa analisi?

Prendiamo un esempio estremo: un potente suv Euro 6 che fa 50mila chilometri l’anno, condotto con uno stile di guida molto aggressivo, sicuramente ha un impatto ambientale molto maggiore nelle sue emissioni complessive rispetto a una Euro 4, piccola, usata meno e con uno stile di guida moderato. Storicamente non c’era altro modo di tassare o mettere delle limitazioni se non ragionando sul valore medio. E su queste basi i comuni hanno deciso di vietare l’entrata in città delle Euro 4 e non delle Euro 6. Ma le auto andrebbero valutate diversamente.

Si possono cambiare i parametri di valutazione?



Con le tecnologie attuali, molto legate alla telematica, si potrebbe ragionare su quello che ogni singola macchina fa durante l’anno. Oggi ci sono già 10 milioni di auto in Italia dotate di telematic box, dette anche scatole nere, che avrebbero queste informazioni: possono misurare la quantità di utilizzo e anche come viene usata la vettura. Sono strumenti tecnologici per cui invece di classificare i buoni e i cattivi in funzione di valori medi teorici, si può calcolare l’impatto ambientale di ciascuna vettura. Non ha senso costringere una persona che ha un Euro 4 e lo usa in maniera moderata a cambiarlo in un Euro 6, quando c’è un Euro 6 che fa 50mila chilometri l’anno in maniera molto aggressiva e inquina enormemente di più. C’è una sorta di iniquità sociale. È un modo anche per responsabilizzare il cittadino a usare poco e bene la macchina.

Lo studio analizza anche cosa comporta un parco macchine che va sempre di più verso l’elettrico: quali sono i punti deboli di questa transizione così come si sta attuando ora?

Dal punto di vista funzionale ed economico in Italia è sostenibile che diventino elettriche non più del 20% delle auto. Il restante 80% non è che non può essere trasformato in elettrico, ma non va a break even, diventa oggettivamente un costo aggiuntivo per i singoli cittadini, l’equivalente termico ha più senso. La morale non è che l’elettrico non va bene, perché è il futuro dell’automobile, il problema è che ha senso in un modello di mobilità diverso dall’attuale. Il messaggio che viene dato oggi è: “Dobbiamo trasformare 40 milioni di auto da termiche a elettriche”. Ma questo passaggio non funziona: servirebbero risorse economiche enormi, che vengono sborsate dal cittadino o messe a disposizione con sussidi dal pubblico.

Qual è allora il modello di mobilità al quale bisogna rifarsi?

Quello basato sul modello del car sharing, che si sposa molto bene con il concetto di auto elettrica: le macchine fanno tanti chilometri con tratti relativamente brevi. Ma per arrivare al car sharing di massa serve la tecnologia dell’auto autonoma. Come è fatto oggi, con l’idea che la persona debba andare a cercare la macchina da solo, è limitante e funziona in grosse città molto dense tipo Milano. C’è invece bisogno che l’auto possa andare lei dal cliente.

Quindi cosa bisognerebbe fare?

Non possiamo elettrificare mantenendo ancora il vecchio modello di mobilità, quello delle auto private. Oggi in Italia ce ne sono 40 milioni e mediamente fanno pochissima strada: ci sono troppe auto, usate troppo poco. Quella dell’elettrico, invece, è una tecnologia fantastica, ma richiede di essere utilizzata. Se ho una gigantesca batteria che mi dà 500 chilometri di autonomia, ma poi non la uso, pago tantissimo un oggetto che rimane sottoutilizzato. Se vogliamo un’auto di questo tipo quella batteria avrà una vita di 6-700mila chilometri. Ma chi è il privato cittadino che li fa? Nessuno. Quindi quella batteria la devo comprare ma poi praticamente la butto via nuova. È il motivo per cui l’auto elettrica costa così tanto.

Ma allora la macchina come può essere messa a disposizione degli utenti?

Bisogna accelerare il processo del car sharing: a Milano lo conoscono tutti. Se sono iscritto al servizio e c’è un’auto disponibile a 200 metri da casa mia, la prendo, la uso, pago i minuti e poi la lascio.

Ma facciamo l’esempio di un centro abitato molto più piccolo, di 6mila abitanti: come posso sviluppare il sistema in un contesto simile?

Il modello funzionerebbe se ci fosse l’auto autonoma. Basterebbero 7-800 auto che le singole persone possono chiamare al momento del bisogno, usandole per poi rilasciarle perché le utilizzi qualcun altro. Oggi, invece, in un paese di 6mila abitanti probabilmente ci sono 4mila automobili.

Ma come funziona, come posso avere la macchina a disposizione?

È come chiamare un taxi. Se devo andare al supermercato chiamo la macchina, dopo un minuto è sotto casa, la prendo e vado. Questo modello è perfetto per l’auto elettrica. Oggi invece si vuole elettrificare con un modello vecchio che ormai non funziona più.

(Paolo Rossetti)

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