Le auto elettriche sono state presentate da tempo come le protagoniste della mobilità del futuro in Italia, ma, almeno per ora, hanno fatto registrare un flop epocale in termini di vendite. Il perché è presto spiegato: costano dai 30 ai 37mila euro, cifra decisamente proibitiva per il consumatore medio, che, secondo i dati Federauto, può spendere circa 8mila euro, utili ad acquisire al massimo un’auto euro 4 a benzina o diesel. Un argomento al quale ha dedicato un servizio sulle colonne de “Il Corriere della Sera” Milena Gabanelli, che ha evidenziato come le automobili elettriche in circolazione siano 15 miloni: L’incentivo del Governo per rottamare quella vecchia e acquistarne una ibrida o elettrica è minimo. 4 mila euro, mentre Francia e Germania ne hanno promessi 14 mila. È come dire che aiutiamo i benestanti. I produttori intanto sono obbligati a incrementare la produzione di elettrico, per rispettare il limite di emissioni (95 grammi a km) imposto dalle norme europee ed evitare pesantissime sanzioni”.



AUTO ELETTRICHE: COMANDA LA CINA

Milena Gabanelli su “Il Corriere della Sera” ricorda che per fare muovere le auto elettriche serva la batteria e “occorre fare i conti con il Paese che sta a monte della filiera delle materie prime necessarie a produrla: cobalto, nichel, litio. La Cina ha in concessione quasi il 90% dei giacimenti mondiali e controlla anche il know how del processo industriale. Pechino ha colonizzato il Congo, che è il più grande produttore di cobalto al mondo, e strappato contratti decennali di sfruttamento anche in Sud America”. Pertanto, l’Europa e gli USA stanno provando ad accelerare la propria ricerca, nel tentativo di ridurre il gap che li separa dal Paese asiatico, ma secondo gli analisti di Transport&Environment la parità di costo con le vetture a benzina e diesel dovrebbe verificarsi “quando le piattaforme più usate sulle linee di montaggio degli stabilimenti non saranno più quelle tradizionali, ma quelle apposite. A quel punto i costi scenderanno del 20%. Non è un caso che Fca abbia scelto la francese Psa (che ne ha due in dotazione), per un’integrazione finita ora sotto la lente dell’Antitrust europea.

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