Secondo il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, “sull’automotive rischiamo la débâcle”. Tanto che chiede di agire subito per salvare un settore che comincia a risentire pesantemente della decisione UE di produrre solo auto elettriche dal 2035. Un’accorata richiesta di aiuto che il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha fatto sua: il 25 e 26 settembre a Bruxelles, prima a un vertice europeo proprio su questo tema e poi al Consiglio della competitività, proporrà di anticipare all’inizio dell’anno prossimo la verifica del piano sulle auto elettriche, inizialmente prevista nel 2026. Il comparto auto italiano ed europeo, come dimostra l’ipotesi di chiusura di stabilimenti in Germania da parte della Volkswagen, è con l’acqua alla gola e, prima di annegare, cerca un salvagente a cui aggrapparsi.
“Bisogna agire” spiega Gian Primo Quagliano, presidente del Centro Studi Promotor, anche se ci si poteva pensare prima. L’Italia deve trovare sostegno politico alla sua iniziativa: potrebbe arrivare dalla Germania, anche se resta l’incognita dei Verdi, che potrebbero ostacolare una revisione dei programmi UE.
Che margini ci sono per modificare il piano sulle auto elettriche dell’Europa?
L’idea di Urso è di anticipare al 2025 la verifica preventivata per l’anno successivo. Il presidente di Confindustria ha detto che lo stop ai motori endotermici dal 2035 è un problema: ci si sta rendendo conto che l’auto elettrica viene comprata solo con gli incentivi, che la gente non la vuole. La politica della UE sull’automobile ha messo in gravi difficoltà il settore europeo, aprendo la strada ai cinesi. Persino la Volkswagen minaccia di chiudere fabbriche in Germania. Un tema su cui l’Italia è intervenuta più volte, dicendo che il dossier auto elettriche va riaperto.
Urso vuole fare un passo ufficiale chiedendo di anticipare la revisione del piano: in che termini può essere fatta?
Può succedere di tutto. Potrebbero almeno spostare la data, è tutto aperto: queste prese di posizione sono uscite solo recentemente. Il problema sono i Verdi, determinanti nella maggioranza a Bruxelles. Meloni, purtroppo, ha deciso di non appoggiare von der Leyen e quindi la posizione dell’Italia diventa marginale.
La Germania potrebbe appoggiare questa richiesta?
Sì, ma il danno è già fatto. Ci vuole una nuova politica dell’automobile che prenda atto di quello che è successo e trovi dei rimedi. Si potrebbero rimettere in gioco le ibride, sono ben accette dalla gente, consumano meno e riducono le emissioni. Una soluzione win-win, ma non sono auto elettriche: hanno un’alimentazione tradizionale in cui la batteria viene ricaricata recuperando energia in frenata oppure ricaricandola dall’esterno. Inquinano meno di un’auto solo a benzina, hanno la versatilità delle macchine tradizionali, senza essere legate necessariamente alla presenza delle colonnine e ai tempi di carica ancora lunghi.
L’iniziativa di Urso può andare in porto?
Non è un’idea isolata. Urso si affretta a porre la questione perché ha percepito i problemi. È anche una risposta alla presa di posizione di Confindustria. Una questione aperta anche in altri Paesi, a parte la Norvegia, dove hanno una quota altissima di elettrico, ma finanziata con il petrolio del Mare del Nord.
Chi potrebbe sostenerla?
Un anno fa parlare di queste cose era tabù. A guardare la situazione, per la revisione del piano non bisognerebbe aspettare neanche il 2025, sarebbe meglio farla domani. Anche se poi revisione non significa cambiare tutto, ma fare il punto è necessario.
Cosa bisognerebbe fare per ridare fiato al settore?
Il minimo sarebbe far scattare la scadenza del 2035 al 2040. Poi bisogna fare anche i conti con l’effettiva incidenza dell’anidride carbonica prodotta dalle automobili. È un gas a effetto serra, ma non è l’unico. Se lo elimini solo in Europa, l’effetto sul clima mondiale è minimo e nel mondo nessuno ha ancora pensato di mettere al bando l’endotermico. Ci sono incentivi per le auto elettriche, come negli USA, ma senza il divieto di produrre altri tipi di vetture.
Ma com’è messa veramente l’industria europea in questo momento?
La situazione è molto difficile. In Italia dovevamo produrre un milione di autovetture, ma non ci pensa più nessuno. In tempi non lontanissimi se ne producevano quasi due milioni, ora siamo a qualche centinaio di migliaia. L’industria automobilistica ha già sofferto molto, è ora di sostenerla.
La proposta di Urso, alla fine, che orizzonte ha? Rischia di cadere nel vuoto o qualcuno la raccoglierà?
La posizione della Germania è decisiva perché nel suo governo c’è una forte presenza dei Verdi e la sua industria è fondamentale nell’automotive europeo. È stata decisiva anche nell’imporre la politica attualmente in vigore.
Anche le case automobilistiche non hanno fatto sentire sufficientemente la loro voce?
Sono state messe in gravi difficoltà: dovevano continuamente ridurre le emissioni medie della gamma venduta e, se ci metti un’auto elettrica, di emissioni non ce ne sono. Tutto ciò ha costretto a mettere in produzione le macchine elettriche, con grosse difficoltà in fase di vendita. Hanno bisogno di incentivi: in Italia sono stati dati anche 13.750 euro per vetture che ne costano 25.000. Non so se sia sopportabile.
Il minimo, quindi, è dilatare i tempi del passaggio all’elettrico?
Il problema è l’auto elettrica, ma soluzioni green ce ne possono essere anche altre. Se si riapre il dossier, bisogna considerare anche quelle. Il nodo, però, è soprattutto politico: ci vuole una maggioranza per cambiare il piano.
Il punto è la posizione dei Verdi?
Se Meloni votava la von der Leyen sarebbe stato tutto più semplice: un Paese come l’Italia non può andare in minoranza a livello europeo.
(Paolo Rossetti)
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