Per avere successo, le politiche per l’elettrificazione della mobilità devono avere due caratteristiche principali: essere efficaci, cioè raggiungere l’obiettivo di elettrificazione del trasporto; essere efficienti, cioè farlo con il massimo beneficio (o, visto dall’altra parte, al minimo costo) per i cittadini e per le imprese, in altri termini per la società nel suo complesso.
L’efficienza, che riguarda il come raggiungere l’obiettivo dell’elettrificazione, è peraltro, come già sostenuto in precedenza, condizione imprescindibile per il raggiungimento del consenso dell’opinione pubblica attorno alle politiche ambientali e, di conseguenza, per l’effettiva realizzabilità della transizione ecologica: dunque, a ben vedere, l’efficienza è un prerequisito anche per l’efficacia.
Negli ultimi mesi, il dibattito sull’elettrificazione ha toccato il tema del possibile massiccio arrivo in Europa di auto elettriche cinesi. È opportuno chiedersi se esse contribuirebbero a minimizzare il costo (o aumentare il beneficio) del processo di transizione ecologica per l’Italia, e dunque siano da accogliere con favore, o se, al contrario, aumentino il costo sociale complessivo dell’elettrificazione, rallentando il processo.
Iniziamo con qualche dato. Per ora, la presenza di auto cinesi in Italia appare relativamente limitata. Nel 2023, le vetture fabbricate in Cina (incluse quelle di marchi europei) hanno rappresentato meno di un quarto del totale delle vendite di auto elettriche. Ancora più limitata, e ben inferiore al 10%, è stata nel nostro Paese la quota di auto di marchio cinese. La fotografia però non dice tutto, intanto perché il dato dell’export cinese in Italia è quasi raddoppiato rispetto al 2022, e poi perché, a livello mondiale, l’esportazione di auto cinesi è cresciuta di circa 6 volte fra il 2020 e il 2023, superando, secondo stime ancora preliminari, il valore di 2 milioni di veicoli elettrici nel 2023. Molti osservatori inoltre concordano che il Governo cinese stia ponendo in atto una precisa strategia volta ad acquisire la leadership mondiale, o almeno un ruolo di preminenza, in questo mercato così centrale nel processo di transizione ecologica.
Le imprese cinesi sono infatti già attive lungo tutte le fasi della filiera, dall’estrazione delle terre rare e dei metalli necessari alla produzione (nei quali hanno acquisito negli anni un ruolo primario, acquistando siti di estrazione strategici in diversi parti del mondo), alle batterie, al prodotto finale, grazie anche ai generosi sussidi e incentivi concessi al settore dei veicoli elettrici da parte del governo cinese. Tutto ciò fa presumere che, in assenza di interventi politici europei, la quota di mercato cinese in Europa e in Italia sia destinata ad alzarsi ulteriormente nel futuro prossimo.
Questo aspetto preoccupa molti: in primo luogo, chi teme che la Cina utilizzi la leva economica che eventualmente acquisirebbe rispetto all’Europa per fini politici, conferendo così alla questione una valenza geopolitica; in secondo luogo, coloro che temono le distorsioni di mercato legate ai sussidi governativi. I timori sono stati tali che la Commissione europea sta conducendo un’indagine sulle politiche commerciali di importazione di auto elettriche prodotte in Cina, annunciata durante il discorso sullo Stato dell’Unione del settembre 2023 e che si concluderà entro qualche mese: essa potrebbe preludere all’adozione di misure commerciali, quali dazi, sulle esportazioni di auto cinesi in Europa.
Sono preoccupazioni legittime? Le auto cinesi aiuteranno la transizione ecologica o la rallenteranno? Contribuiranno a creare supporto attorno alle politiche ambientali o lo ridurranno? La risposta a queste domande non è affatto semplice. Per provare ad abbozzarla (limitandoci agli aspetti economici e senza entrare nelle implicazioni geopolitiche) cerchiamo di capire quali effetti hanno le auto cinesi sulla popolazione. Intanto, le imprese cinesi vendono generalmente a un prezzo più basso rispetto alle controparti europee: non solo per un diverso livello di qualità fra i due tipi di prodotti, ma anche per i costi più bassi sostenuti in Cina rispetto alle controparti europee, nonché per i già citati sussidi e agevolazioni all’innovazione e all’investimento concessi dal Governo cinese alle imprese operanti nel settore. In un certo senso, i cittadini europei stanno beneficiando dei bassi costi di produzione e dei sussidi di Pechino, che stanno consentendo, e verosimilmente consentiranno, anche a persone con disponibilità economiche limitate di acquistare un’auto elettrica. Da questo punto di vista, la Cina sta dando impulso alla transizione ecologica.
Dall’altro lato, tuttavia, i produttori europei, e l’indotto automobilistico, soffrirebbero molto se, nel medio termine, il settore della produzione automobilistica europeo dovesse scomparire o essere fortemente ridimensionato, venendo sostituito dalle importazioni dalla Cina. Se dovessero esserci avvisaglie che ciò stia per accadere, i cittadini potrebbero reagire richiedendo politiche protezionistiche, od osteggiando tout court l’elettrificazione che verrebbe percepita come la causa della perdita di milioni di posti di lavoro. In questo senso, l’export cinese rappresenta un grande ostacolo verso la transizione.
L’impatto dell’esportazione di auto cinesi in Europa è articolato, ed è difficile stabilire a priori se nel complesso sarà positivo o negativo.
Per concludere, è utile chiedersi, in questo contesto non semplice, che cosa possa e debba fare la politica. Come sempre, è utile che mantenga un atteggiamento equilibrato, in questo caso cercando di privilegiare gli investimenti sui divieti, e creando lo spazio perché anche le imprese europee abbiano un ruolo centrale nel processo di elettrificazione del trasporto. Si obietterà: è facile suggerire di investire, ma dove troviamo le risorse? La risposta è che spesso non servono necessariamente (molti) soldi pubblici, ma è già importante non ostacolare gli investimenti dei privati e costruire una cornice normativa in grado di attrarli. Non è certamente facile e lo si predica, con alterne fortune, da molti anni: ma questa volta, vista la posta in gioco, potrebbe davvero valere la pena destinare le energie della politica verso questo sempre più ineludibile obiettivo.
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