L’ ultimo allarme è arrivato da Milano Finanza, che nei giorni scorsi ha rilanciato i dati della Fondazione ENI Enrico Mattei (peraltro confermati dall’ACI): in Italia nel 2024 verranno immatricolate non più di 80mila auto elettriche su un parco-auto complessivo di circa 40 milioni di veicoli.

Tenuto conto che oltre la metà delle auto in circolazione hanno più di 10 anni, che un quarto sono “over 14” e che le nuove immatricolazioni sono circa 2 milioni l’anno, è evidente il “flop” delle auto elettriche, come d’altronde avviene in tutta Europa e in tutto il mondo nonostante fiumi di contributi statali ed europei. Non basta una tamburellante pubblicità, è sufficiente chiedere a un qualsiasi rivenditore di auto: l’auto elettrica non piace, non convince, non è amata se non da una piccola fetta di aficionados che – innanzitutto – possono permettersela.



Non è solo una questione di costi, ma soprattutto di praticità e a colpi di 80mila vetture l‘anno l’obiettivo europeo di arrivare a 4,3 milioni di auto elettriche in Italia in 6 anni è semplicemente una sciocchezza (o una buffonata), così come è irraggiungibile in tutti i paesi dell’Unione. Una politica che quindi è e sarà un demagogico flop.



Ricordiamoci che oggi in Italia il 43% delle auto vanno a benzina, il 41% è diesel, il 7% benzina/gpl, il 5% ibrido a benzina, il 2,5% consuma metano, lo 0,64% è un ibrido a gasolio e solo poco più dello 0,6% è full electric pur dopo ormai tanti anni che sono sul mercato e nonostante i contributi pubblici all’acquisto. Una ragione pratica ci sarà e non può essere solo l’“ignoranza ecologica” degli eco-scettici, come si viene subito dipinti se ci si permette di esprimere critiche.

Ovvio che le auto elettriche hanno senso in un alcune specifiche situazioni, ma c’è da chiedersi senza ipocrisie se dietro a queste tanto decantate strategie “green” europee non ci siano anche dei falsi fini, perché non può essere l’aspetto ambientale a spingerle quando sarebbe molto più logico puntare a concedere altri e maggiori incentivi per arrivare ad una forte sostituzione del parco-auto più obsoleto e più inquinante (in Italia circa 10 milioni di veicoli circolanti sono ancora Euro 1, 2 o 3). Il problema è poi che, se un’auto vecchia è ancora discreta, va a finire all’estero in mercati “poveri” dove continua ad inquinare perché il green è chic ed europeo, ma si ferma lì.



Chi scrive ha un’auto diesel Euro 6 di media cilindrata ben mantenuta e che consuma 4,2 litri di gasolio per 100 chilometri, meno della metà di una piccola auto ibrida a benzina che pure – questo sì con una certa logica – autoproduce energia usandola in città e quando è necessario. È così inquinante e malefico un diesel, soprattutto se si trovassero più facilmente in giro distributori di diesel vegetale che inquina meno e costa meno? Non ho mai capito perché un diesel moderno, ben curato e con gli additivi adatti, non dovrebbe essere una buona alternativa.

Tutto è migliorabile, anche la “resa” dell’elettrico, ma contemporaneamente tutto puzza di preconcetto, di demagogia e di business coperti e spinti da un’Unione Europea che insiste con una politica di non-senso, rendendo così legittimo il dubbio su quali veri interessi e logiche politiche ci stiano dietro. Anche perché non è vero che l’elettrico non inquina, a cominciare dalla produzione della stessa energia elettrica che non è solo nucleare, solare o eolica ma ancora largamente ottenuta bruciando idrocarburi ed immagazzinandola poi con le batterie.

Chi è così entusiasta ad oltranza dell’elettrico e della rivoluzione verde dovrebbe pensare proprio alle sue batterie, ma anche alla produzione delle turbine eoliche e dei pannelli solari. Una tipica batteria di auto elettrica pesa oltre 150 kg ed è grande circa quanto una valigia. Contiene soprattutto litio, nichel, manganese, cobalto, rame e alluminio, acciaio e plastica. Ci sono polemiche infinite su quanto minerale serva per estrarre questi componenti, selezionarlo, costruire poi la batteria a livello industriale, oltre all’energia e ai costi futuri per smaltirle, così come avverrà per i pannelli solari.

Le foto dei bambini africani – soprattutto congolesi – che scavano con in testa un secchio pieno di terra rossa dovrebbero circolare di più: sono l’altra faccia dell’ecologismo spinto che crea migliaia di miniere (di solito incontrollate e di solito cinesi) che sfruttano milioni di persone in nome proprio del “green”, ma di questo aspetto non si scandalizza nessuno, dimenticando ogni altra considerazione di carattere geo-politico.

Così come c’è poi tutto il discorso legato alla produzione dei pannelli solari e delle pale eoliche, che – al di là di ogni aspetto estetico e paesaggistico – usano necessariamente quantità enormi di materiali per essere realizzate.

Non serve l’estremismo né in un senso né nell’altro; bisogna piuttosto razionare e ridurre l’uso ed i consumi di tutte le risorse terrestri con una politica sana di risparmio delle risorse naturali e di gestione dei trasporti. Proprio per questo è ora che ci si renda conto di come l’elettrico-spinto non sia sempre un passo in avanti, tutt’altro.

Quanto sarebbero utili dei dibattiti approfonditi e seri su questo aspetto, non solo le quotidiane prediche green!

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