Sarà il big cinese BYD il secondo costruttore disposto a produrre in Italia? Il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso ha confermato le indiscrezioni che parlavano di contatti tra il governo e il colosso cinese delle auto elettriche (ma nelle ultime ore è emersa pure la pista Tesla). «Abbiamo diverse interlocuzioni con più aziende», ha dichiarato ai microfoni del Foglio, pur senza fare nomi. Ma l’altro giorno anche Michael Shu, managing director di BYD Europe, aveva confermato a Bloomberg alcuni contatti tra l’azienda di Shenzhen e il governo italiano per l’apertura di un impianto di produzione nel nostro Paese. Palazzo Chigi ha chiesto che le auto non abbiano componenti cinesi, ma siano “made in Italy”, ma si tratta di un’opzione difficile da realizzare per BYD, visto che può abbattere i costi di produzione attraverso la sostanziale differenza di prezzo fornita alle aziende cinesi sulla componentistica.
Comunque, il governo starebbe guardando alla Cina per fare un dispetto a Stellantis, anche se comunque il marchio cinese, il più diretto competitori della Tesla, è a prescindere molto interessato all’espansione in Europa. Il motivo è politico per BYD: produrre direttamente in Europa è un modo concreto per aggirare l’inchiesta formale della Commissione europea sui sussidi statali e la competizione sleale dell’industria delle auto elettriche cinesi, che si sta concentrando attualmente sulle importazioni in Ue. Invece, per quanto riguarda il governo Meloni, ha cominciato a gettare le basi per attrarre una nuova grande casa automobilistica in Italia, alla luce delle mosse di Stellantis, che potrebbe spostare parte delle attività in Paesi a basso costo.
AUTO, OPZIONE CINA PER IL GOVERNO ITALIANO
Non a caso BYD finora ha investito in Ungheria, dove ha aperto tre punti vendita solo a Budapest. Il colosso cinese, inoltre, ha firmato un accordo col governo di Orban per costruire entro tre anni il primo impianto europeo di produzione nella città di Szeged, che sarebbe il primo in Europa. Il governo italiano ha sempre osteggiato il mercato cinese dell’auto elettrica, ma il ministro Urso al Foglio ha spiegato le ragioni del cambiamento di rotta: «Abbiamo radicalmente cambiato il Regolamento Euro 7 realizzando a sorpresa una nuova maggioranza in Europa, rimuovendo così l’ostacolo principale alla competitività delle case automobilistiche europee». Il ministro ha assicurato che nel frattempo si sta lavorando «all’ipotesi di una seconda casa automobilistica in Italia», oltre alla Fiat, «che possa ampliare la gamma dei modelli offerti al mercato, soprattutto macchine elettriche, ovviamente prodotte in Italia con la componentistica italiana e non meramente assemblate».
La dipendenza dalla Cina e la concorrenza sleale di auto e componenti cinesi è proprio ciò che il governo Meloni voleva evitare e su cui la Commissione Ue sta lavorando, ad esempio, con il Chips Act. Per il Foglio la notizia dei contatti con BYD si lega al tentativo di affossare il regolamento europeo sulla due diligence di sostenibilità delle grandi aziende, che imporrebbe il controllo di chi acquista materiali o servizi fuori dall’Ue, sia sull’impatto ambientale sia sul fatto che la catena produttiva non sia frutto di lavoro forzato. Pertanto, l’uscita dalla Via della seta è stato un atto formale, ma concretamente si continua a lavorare con la Cina su tutti i fronti, anche quelli più complessi.
URSO “CONTATTI ANCHE CON TESLA”
In audizione alla commissione Attività produttive della Camera, Urso ha aggiunto che «abbiamo avviato interlocuzioni con produzioni di vari Paesi, non soltanto orientali ma anche occidentali». Inoltre, ha spiegato che in una città tedesca è stato respinto il piano di espansione dell’impianto di assemblaggio europeo di Tesla. «E questo comporterà certamente una decisione del gruppo», con cui ci sarebbero contatti. «Stiamo avendo riscontri molto positivi ma si tratta di un processo che richiede prudenza».
Il ministro delle Imprese e del Made in Italy ha evidenziato che c’è la consapevolezza che la tutela della componentistica richieda valori produttivi «pari ad almeno un milione di autovetture e 300 mila veicoli commerciali». Alla luce di ciò, «è fondamentale lavorare al raggiungimento di un’intesa con Stellantis andando a consolidare la loro rete di forniture nazionale e facendo si che il gruppo receda dalla tentazione di trasferire la produzione all’estero come emerge dalla stessa comunicazione che il gruppo avrebbe trasmesso alle aziende della componentistica, cioè receda dal piano di internazionalizzazione».