Dunque, riassumendo: l’industria automobilistica è in crisi; il futuro di un settore che rappresenta quasi il 6% del nostro Pil (e sfiora l’8% delle italiche esportazioni) è nero come la notte più buia. Siamo indietro su tutto: dalla produzione dei chip, alla concezione (nel senso di realizzazione) di una rete di distribuzione dei rifornimenti non inquinanti (vulgo: le ricariche elettriche). Abbiamo perso in un ventennio due terzi della nostra capacità produttiva. Abbiamo consegnato a un conglomerato industrial-finanziario franco-italo-statunitense la nostra unica (o quasi) impresa del settore. C’è il rischio di perdere 60mila posti di lavoro e con essi di consegnare ad altri un know-how di qualità altissima e di antica sapienza.
Eppure, al termine di una ben concertata campagna sulla stampa e di pressione politica, sindacati, imprese e operatori del settore hanno saputo concepire, come soluzione per l’immediato, solo la richiesta, pensate un po’, di introdurre incentivi per l’acquisto di veicoli non inquinanti.
Sembrerebbe infatti questa, almeno secondo i si dice, la principale domanda avanzata dai soggetti in campo per evitare il tracollo del settore auto. Oh, badate bene: mica l’han chiesta direttamente. È il Governo che ci ha pensato a togliere tutti dall’imbarazzo. La proposta sarebbe emersa infatti nel corso della riunione sull’automotive che si è tenuta ieri l’altro a Palazzo Chigi.
Nei giorni precedenti, però, Federmeccanica e Fim, Fiom e Uilm, avevano lanciato grida, lai e lamenti d’allarme riguardo, citiamo, il futuro del comparto alla luce di “un’emergenza che oscilla pericolosamente tra grandi opportunità e gravi rischi, con l’obiettivo di salvaguardare e promuovere l’occupazione e la presenza industriale del settore automotive: un patrimonio italiano”.
In realtà una chiosa a questa lettera ci fa dubitare delle intenzioni di chi ha scritto quella missiva: l’allusione, giusta e vera, per carità, ma forse un tantino troppo evocativa, al previsto stop nel 2035 alla vendita di nuove auto che producono emissioni di carbonio, che “se non accompagnata da interventi, potrebbe portare in Italia a una perdita di circa 73mila posti di lavoro, di cui 63mila nel periodo 2025-2030”, lascia intendere ai nostri occhi più un riemergere dell’italianissimo “tengo famiglia” che un ragionevole percorso di riforma e di sfida al futuro. Non vorremmo insomma, come da italico costume, che si abbaiasse alla luna per elemosinare dal vicino. Se, alla fin fine, non si sa scorgere nella mutazione copernicana in atto un’opportunità, ma la si legge, come di consueto, come una rottura di un equilibrio tanto faticoso quanto fecondo (per chi ne gode i frutti, of course), significa che arrivati alla fatidica scelta tra Scilli e Cariddi, l’intero italico sistema automotive ha optato per… scendere dalla nave e proseguire a piedi.
L’idea di drogare il mercato dell’elettrico e del non inquinante è comunque e sempre una scorciatoia: nell’immediato dà risposte, certo, ma a lungo andare a cosa servirà? A tenere (ripetiamo: forse) quelle quote di mercato che controlliamo; a non crollare, ma a prezzo di rinviare le scelte radicali al giorno del più e al mese del mai, come si dice qui al Nord.
Bizzarro Paese questo Bel Stivale: da una parte ci si accapiglia e si sproloquia di diritto all’eutanasia per gli esseri umani “la cui vita non è più degna di questo nome” e contro ogni forma di conservazione della vita umana. Dall’altra si sbraita che nulla si deve fare, nulla si deve toccare, nulla si deve modificare, che la vita (delle imprese soprattutto se decotte o anche solo leggermente surriscaldate), va preservata a ogni costo: contenti tutti, imprese che fanno finta di respirare e sindacati che fanno finta che lì ci sia ancora lavoro.
D’accordo che comperare oggi un’auto non inquinante significa mettere a budget quanto serve per un piccolo appartamento; che senza lavoro non si può stare; che senza salario la gente muore di fame. Ma siamo davvero convinti, tutti, che la risposta a simili domande sia quella di intossicare di metadonici incentivi un settore così delicato? Oh bada bene, diranno i più svegli tra voi, che siamo già oggi di fronte a un tossico: che sarebbe solo l’ennesima dose somministrata in un organismo già aduso a simili pratiche; che “meglio drogato che schiattare” (emulo moderno dell’altrettanto burinesco “meglio rossi che cadaveri”). Sì, sì, tutto vero, verissimo: ma nessun ragionamento impedisce che ogni iniezione di quel tipo porti ineluttabilmente più vicino alla morte che non alla vita. Senza contare le frodi e le furbate: avete presente cos’è successo col superbonus 110%? Le imprese hanno quintuplicato i prezzi (e la colpa non è di nessuno, ovviamente), sono fioriti i consorzi con capitale minimo e il mercato ne ha goduto per un attimo.
Ovviamente e per evitare polemiche inutili: se dovessimo scegliere tra il nulla e questo, tanto meglio questo. Ma è lecito allora chiedere perché l’alternativa al piccolo cabottaggio sia per forza il nulla. In fondo l’automotive è un problema europeo, troppe auto circolanti e la soluzione non può essere quella di andare avanti così, semplicemente sostituendo i motori a scoppio con quelli elettrici.
Posso chiedere, di grazia, se è normale che le auto costino così tanto (e ancor più quando si parla di elettriche et similia)? Se per tutti (non per il sottoscritto) sia comune l’equiparazione tra costo dell’auto e investimento edilizio? Se sia correntemente accettabile che la formula più usata per vendere un’auto debba essere quella del leasing (con una sorta di rateazione sine die)? Se sia accettabile che il mercato dell’usato sia tanto in crescita da generare una carenza di prodotti? Eh già, proprio così: il fenomeno del ricorso all’usato sta esplodendo mentre le auto nuove hanno tempi di consegna biblici e costi improponibili. Questo per oggi, e per domani è lecito chiedersi cosa potrà accadere…
Ora non aspettatevi soluzioni o formule che risolvano le questioni in poche battute. Se avessimo creduto anche solo per un attimo che a problemi tanto grandi e complessi fosse possibile dare soluzioni-scorciatoia ci saremmo iscritti ai Cinque Stelle o avremmo tenuto qualche discorso televisivo in talk-show condotti da simil-esperti. Siccome invece sappiamo per esperienza che ogni problema appare semplice solo agli occhi dei geni o dei cretini, e che, al contrario dei cretini, i geni scarseggiano, ci limitiamo a implorare: per pietà, per rispetto dei nostri figli (e dei nostri padri), caro ministro Giorgetti aiuta chi ti troverai davanti a pensare in termini di realismo e di futuro. Convincilo che non si può sempre pensare solo di sopravvivere, che dobbiamo fare sistema, che dobbiamo copiare dai tedeschi i quali, insomma, tra i mille pregi hanno anche quello di saper lavorare insieme e di dare soluzioni a medio termine. Il germanico dieselgate è divenuta un’opportunità per riformare il settore, quando per noi invece è stata solo l’occasione di una passerella televisiva dei soliti noti (con contorno di bonazze semidiscinte: quelle non devono mai mancare sennò i neuroni sembra che non possano mettersi in moto) nelle solite noiose e imbarazzanti sceneggiate televisive.
Mentre da noi se ne parlava in termini di mega sandalo e di polemiche, quelli hanno tirato fuori dai cassetti i progetti e le idee e hanno imposto all’Europa il salto verso l’elettrico. Ecco, magari non così, magari non in quel modo, magari non con quella protervia, ma vivaddio, possibile che qualcosa di simile non possiamo farla anche noi? Non al posto degli incentivi, ma almeno accanto agli incentivi!
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