I dati parlano da soli: le auto esportate dalla Germania alla Cina sono diminuite del 23%, le auto elettriche che hanno fatto il percorso inverso, invece, da Pechino a Berlino, sono cresciute del 28%. Segno che il Dragone sta aggredendo il mercato europeo anche nel settore automobilistico, tanto da mettere a rischio la sopravvivenza della nostra stessa industria. Una prospettiva resa più preoccupante dalla decisione della Ue di produrre solo auto elettriche (con l’eccezione di quelle a combustibile sintetico) dal 2035, e che rischia di avvantaggiare ancora di più i concorrenti cinesi.
Le critiche alla transizione energetica voluta dall’Europa arrivano, tardivamente, da più parti. E riguardano anche l’arrivo dell’Euro 7, la nuova stretta per i motori che dovrebbe partire dal 2025 per le auto e dal 2027 per i mezzi pesanti, che obbligherà i costruttori a investire per una tecnologia che qualche anno dopo dovrebbe essere soppiantata dalle auto elettriche. Ora, dopo la presa di posizione di Italia e Francia e anche quella dei costruttori, la presidenza svedese di turno della Ue potrebbe almeno allungare i tempi, spostandoli di tre anni. Si vedrà la settimana prossima.
“Nel 2024 – spiega Pierluigi Bonora, giornalista de Il Giornale – ci saranno le elezioni europee e se la tendenza, come sembra, è quella di un cambiamento radicale di orientamento politico della futura Commissione europea, penso che ci sarà una profonda revisione, nel senso di un’apertura più ampia ai carburanti green, sintetici ma anche ai biocarburanti. E in futuro anche all’idrogeno. Pur restando l’elettrico. Un atteggiamento più democratico. La politica deve dare degli indirizzi, poi a scegliere come metterli in pratica deve essere l’industria”.
Cresce l’export cinese in Europa e diminuisce quello europeo verso Pechino. I cinesi hanno messo la freccia e ci stanno sorpassando?
C’era da aspettarselo. Tutti gli allarmi dei mesi scorsi, sempre disattesi, ora ricevono conferma. L’attacco cinese non solo è iniziato, ma è in pieno svolgimento. Il dato delle auto elettriche cinesi verso la Germania suona come un forte campanello d’allarme, anche se in ritardo. Perché loro porteranno in Germania prodotti di grande qualità a prezzi più competitivi.
Un discorso che vale solo per la Germania?
Sta toccando anche altri Paesi come l’Italia: qui il marchio MG, inglese ma di proprietà cinese, ha segnato un balzo incredibile proprio nell’ultimo mese di maggio. Sono macchine elettrificate. E siamo solo all’inizio: nei prossimi giorni ci sarà la prima conferenza stampa del marchio Byd e sapremo quali programmi hanno anche per il nostro Paese.
È la stessa azienda che ha appena rilevato uno stabilimento Ford proprio in Germania?
Sì, stanno facendo anche campagna acquisti di manager e personale occidentale. Vedremo quali saranno le loro strategie. Presentano una gamma importante per l’Europa. E con loro arriveranno anche altri brand.
Hanno intenzione di produrre in Europa?
Ora pensano di esportare, poi potrebbero avere l’intenzione di aprire una fabbrica in Europa. Sta di fatto che l’Unione Europea, che finora ha dormito parecchio, deve affrettarsi a porre dazi pesanti. Lo ha chiesto anche Carlos Tavares, ad di Stellantis. Se i cinesi producessero qui almeno creerebbero occupazione e un buon indotto, se si limitassero semplicemente a esportare potrebbero conquistare quote di mercato a danno delle aziende europee, che senza la difesa di dazi più pesanti sarebbero in difficoltà a mantenere gli stessi prezzi.
Che responsabilità ha la Ue in questo contesto?
Il piano europeo della transizione ecologica fa acqua da tutte le parti. Sono state sottovalutate tante variabili che adesso invece stanno diventando realtà.
La diminuzione dell’export tedesco farà preoccupare anche le imprese italiane dell’automotive, visto che molte lavorano proprio per marchi tedeschi?
Certamente, le case tedesche procurano all’Italia un gran lavoro anche in termini di indotto e forti fatturati. Se c’è un calo in Germania ne risentiranno anche le forniture italiane. Non bisogna sottovalutare, ad esempio, la decisione di Stellantis di aprire un hub in Algeria per produrre Fiat 500 e altri modelli per il mercato africano e mediorientale. Produrre lì costa molto meno che farlo in Italia, togliendo lavoro agli italiani.
Questi dati sulle esportazioni cinesi in Europa potrebbero spingere la Commissione europea a qualche riflessione sulla decisione di produrre solo auto elettriche dal 2035?
Luca De Meo, presidente di Acea (l’associazione europea dei costruttori di automobili, nda) nei giorni scorsi si è lamentato per l’introduzione dell’Euro 7 e l’aumento dei costi conseguente per le case automobilistiche,. Lo stesso ha fatto Tavares, ma queste lamentele dovevano arrivare due o tre anni fa. Adesso è tardi.
A proposito di Euro 7 ora sembra che, dopo la presa di posizione di Italia e Francia, grazie anche alla presidenza svedese della Ue le scadenze per l’entrata in vigore del provvedimento verranno spostate di tre anni. Modificheranno qualcosa?
Può succedere di tutto. L’Euro 7 così com’è non sta in piedi. Partirebbe da luglio 2025, ma ci potrebbe essere qualche ripensamento, viste anche le elezioni imminenti. Ci sono state rimostranze, anche dei costruttori, ma sono tardive: dell’Euro 7 si sapeva da tempo.
Alla fine si va verso l’elettrico e basta?
Sull’elettrico la strada è tracciata, ci sono gli investimenti così come le programmazioni di prodotti. Magari queste ultime potrebbero essere spostate più in là. Non è un caso che certe case che in Italia puntavano molto sull’elettrico ora puntano sul mild hybryd, soluzione preferita dagli italiani. Mi riferisco, ad esempio, a Volvo, ma anche altre marche. Hanno capito che qui va ancora la macchina “normale”, non l’elettrico, perché quest’ultimo è considerato ancora un sistema problematico, che suscita incertezza.
C’è una possibilità per l’industria europea, e quindi anche italiana, di resistere a cinesi, di cambiare pelle e mantenere delle prospettive?
Siamo in ritardo. E poi le parole di Tavares sono chiare: non si può produrre in Europa un’auto elettrica economica. Bisogna realizzarla fuori. Parole che valgono adesso ma anche per i prossimi anni. Poi ricordiamoci le altre variabili possibili: la guerra, l’energia. Le Ue non le ha prese in considerazione.
C’è il rischio che tra qualche anno la nostra industria automobilistica non ci sarà più?
È un rischio che si corre. Si parla tanto di evoluzione, di cambiamenti. Questa rivoluzione potrebbe portare anche a questo risultato.
C’è, almeno tra i grossi gruppi, qualcuno che si è preparato a questa transizione?
Mercedes ha dietro Geely che è un colosso cinese e che è l’azionista più importante che ha. Volvo è tutta cinese, Jaguar e Rover tutte indiane. Anche altri costruttori potranno finire in mani cinesi. Può succedere di tutto.
Anche i produttori italiani di viti e bulloni per i motori, di sistemi di fissaggio dovranno cambiare?
Non lo so. Parlavo con un professore dell’Università di Bologna che si occupa di automotive, mi diceva che ci sono studenti di ingegneria meccanica che si chiedevano se studiare i motori endotermici oggi non sia uno sforzo inutile, visto che poi si dovrebbe passare all’elettrico. Secondo il docente non spariranno. Rimarrà sempre una componente endotermica.
Gli italiani, comunque, rimangono ancora molto scettici sull’elettrico?
Da Roma in giù non si vede una macchina elettrica. Sono auto che costano e pesa l’incertezza sul futuro. Prima però dobbiamo pensare al parco auto circolante italiano che ha un’età media di 12 anni e mezzo con un sacco di veicoli Euro 0, 1, 2, 3, 4. Occorre una politica che spinga le persone ad acquistare auto più virtuose, accessibili come prezzo, Euro 6. Poi chi vuole si prende la macchina elettrica. Fino a che si andrà avanti così la situazione degli inquinanti rimarrà tale.
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