Il tavolo europeo sull’automobile si è aperto a fine gennaio, ma se alla fine verrà rivista la direttiva UE, che stabilisce il divieto di produrre auto che non siano elettriche dopo il 2035, lo si saprà probabilmente a inizio marzo. Le ultime da Bruxelles dicono che c’è spazio per assicurare ancora la vendita delle auto ibride plug-in e range extender, ma potrebbe esserci anche altro. Un’opportunità, racconta Pierluigi Bonora, giornalista de Il Giornale ed esperto del settore automobilistico, che potrebbe essere sfruttata da Stellantis e dalle sue piattaforme Multienergy, che permettono di produrre modelli alimentati diversamente con gli stessi strumenti. Intanto, la componentistica italiana cerca di accaparrarsi come clienti i produttori automobilistici cinesi, che stanno realizzando siti industriali in Europa.
La UE sembra intenzionata a tornare sui suoi passi: dopo il 2035 sarà ancora possibile produrre le auto ibride plug-in e range extender? Potrebbe estendere questa possibilità anche ad altri tipi di vetture?
Vediamo, magari potrebbe succedere con le ibride normali. Già il range extender è interessante: c’è un serbatoio di benzina che fornisce l’energia per alimentare la batteria e viaggiare in elettrico. Il rifornimento si fa con il carburante e non con la colonnina. Il 5 marzo si dovrebbe conoscere un po’ l’esito del dialogo strategico aperto a livello europeo sull’automobile, che però sta avvenendo in modo un po’ strano: sono stati lasciati fuori i concessionari, che sono fondamentali perché tastano il polso al mercato, hanno a che fare direttamente con i clienti e capiscono qual è il loro gradimento di certe vetture. Non ci sono neanche gli autotrasportatori, che sono una componente importantissima e che devono affrontare il problema della vetustà dei mezzi. Il settore ha bisogno di essere innovato all’insegna del pragmatismo, con il GNL, il biometano, il diesel di ultima generazione.
Quali sono le altre componenti invitate al tavolo europeo?
È stata convocata una sola associazione di consumatori, poi le case automobilistiche e Transport and Environment, la più potente lobby ambientalista europea, che ha condizionato molto le scelte dogmatiche di Bruxelles.
I costruttori spingono per cambiare le politiche europee?
Su di loro aprirei una parentesi. Alla fine del primo incontro del 30 gennaio, che ha sancito l’apertura del dialogo strategico, i top manager dei marchi più importanti si sono messi in posa, tutti sorridenti, per una foto con la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, anche lei sorridente, cioè con la persona che, insieme ad altri, sta portando l’industria automotive europea alla rovina. Un atteggiamento di scarsa sensibilità da parte di chi intasca lauti stipendi di fronte a una politica europea che sta affossando il settore, mettendo in difficoltà migliaia di famiglie di lavoratori. Danno l’idea di una certa condiscendenza, che in questi anni c’è stata, perché le case automobilistiche hanno sposato le politiche UE.
Ora sembrano aver cambiato posizione.
Si sono accorti solo lo scorso anno che erano previste delle multe per chi non raggiungeva certi livelli di vendita nell’elettrico e che si andava verso il disastro, cominciando a opporsi. Adesso vedo che anche Volvo sta pensando di fare il full hybrid, mentre prima proclamava di puntare tutto sull’elettrico in tempi brevi.
Se l’Unione Europea aprisse veramente alla possibilità di produrre ancora altri modelli oltre all’elettrico, il settore potrebbe pensare di risollevarsi?
Stellantis, ad esempio, potrebbe esserne avvantaggiata. Una delle poche cose buone che ha fatto l’ex CEO Carlos Tavares è la realizzazione delle piattaforme Multienergy, che permettono di produrre auto con alimentazione diversa utilizzando la stessa linea di produzione. Così hanno fatto anche BMW e Toyota. Un’iniziativa frutto di una visione lungimirante.
Multienergy vuol dire che con la stessa piattaforma si possono produrre diversi tipi di macchine?
Si tratta di piattaforme pensate per l’elettrico, ma che possono produrre anche l’ibrido plug-in e l’ibrido normale. Il modello small arriverà il prossimo anno a Pomigliano, quello medium, già attivo, verrà usato per le novità in produzione a Melfi, mentre quello large è a Cassino, dove ci saranno le future Alfa Romeo e la Maserati. Credo che quest’ultima piattaforma sia utilizzata anche in America per i pick-up, che là sono fondamentali.
Intanto, l’arrivo delle case automobilistiche cinesi in Europa sembra aprire qualche opportunità alle aziende italiane. C’è la possibilità che diano lavoro alla nostra componentistica?
BYD ha presentato le sue ultime novità e Alfredo Altavilla, special senior advisor del gruppo cinese, ha confermato che il 20 e 21 febbraio, al MAUTO, il Museo dell’Auto di Torino, si raduneranno più di 300 fornitori, aziende di componentistica, tra cui BYD farà una selezione per trovare, appunto, fornitori italiani in vista della sua europeizzazione: comincerà a produrre in Ungheria a ottobre e in Turchia il prossimo anno, a marzo. Di fatto, diventa “europea”, senza doversi preoccupare, così, dei dazi. Altavilla è stato il braccio destro di Sergio Marchionne in FCA e, prima ancora, in Fiat Group e conosce l’eccellenza della componentistica italiana, che ha dato prova di sé come fornitrice delle case automobilistiche tedesche.
Nel nuovo scenario automobilistico, insomma, le nostre aziende si possono ancora salvare?
Il momento è comunque difficile: la produzione di Stellantis in Italia è ancora ferma. Speriamo che funzionino i prossimi modelli in uscita, soprattutto se verranno costruiti secondo le esigenze del mercato. Il mercato tedesco, per la nostra componentistica, vale 5 miliardi: lì la crisi ha messo in ginocchio Volkswagen, creando problemi un po’ a tutti, compresi i fornitori.
(Paolo Rossetti)
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.