La sharing economy dell’energia arriva finalmente in Italia. Favorire progetti di autoconsumo collettivo da fonti rinnovabili, che è stata una battaglia storica del mondo ambientalista viene finalmente accolta nel 2018 da una direttiva europea; rimasta in Italia lettera morta per due anni. Si tratta per i cittadini di assumere rilevanza nel processo produttivo e distributivo di energia da fonti pulite. L’intento è favorire l’autoproduzione e la condivisione dell’energia prodotta collettivamente da pannelli solari o pale eoliche collocati su spazi comuni, per esempio, ed eventualmente stoccata in sistemi di accumulo, ma anche di autorizzare la vendita del surplus energetico sotto forma di elettricità, calore e gas a terzi prossimi all’impianto di generazione. Insomma, lo scambio di energia tra cittadini, consente di mantenere sul territorio l’energia generata in loco e reimmetterla nella rete nei momenti di maggior richiesta, evitando di esporre l’infrastruttura di rete agli stress.
Grazie un emendamento al Decreto Milleproproghe 2020 viene normato l’autoconsumo collettivo e fissata la tariffa incentivante. Partono, in tempo di pandemia, le prime sperimentazioni di Comunità Energetiche Rinnovabili (CER) che devono molto all’impulso del senatore Girotto (M5S) presidente della Commissione Industria del Senato, sostenitore dalla prima ora dell’economia collaborativa energetica attraverso le CER.
Praticamente la CER è un gruppo a partecipazione volontaria e autonoma, i cui membri (persone fisiche, imprese, enti territoriali), appartenenti a una determinata zona, decidono di costituirsi in forma giuridica, con lo scopo di produrre e condividere energia da fonte rinnovabile per trarne benefici ambientali, economici e sociali, senza scopo di lucro.
A costituire una CER può essere un condominio, un centro commerciale, una comunità agricola, un distretto industriale. In particolare questi ultimi costituendo circa un quarto del sistema produttivo, sono una leva fondamentale per realizzare i nuovi obiettivi di riduzione delle emissioni di 55% al 2030, che richiederanno un contributo delle rinnovabili pari ad almeno il 70% del mix produttivo elettrico (nel 2020 la quota sulla produzione nazionale lorda è 42,4%). Per la costituzione esiste anche il vincolo giuridico che nella comunità non partecipi un’azienda energetica (utilities ed ESCO) per rispettare l’assenza di attività commerciale e sotto una potenza di 200kW dell’impianto di generazione.
Attualmente in Italia è stata inaugurata una comunità energetica a Magliano Alpi nel cuneese, con un impianto fotovoltaico da 20kW di picco che vede la partecipazione mista di cittadini e comune con la collaborazione dell’Energy Center del Politecnico di Torino. In Campania, un altro progetto coinvolge 40 famiglie del quartiere di S. Giovanni a Teduccio, con il supporto della Fondazione con il Sud sul cui tetto verrà installato un impianto solare da 53kWp.
Oltre a contribuire ad incentivare il mix energetico a basse emissioni di carbonio, c’è il vantaggio di una bolletta più leggera mediamente del 20-30%. Ciò si ottiene dall’esenzione degli oneri di trasmissione a fronte della coincidenza tra produzione e consumo con uno sgravio quantificato dall’Autorità per l’Energia in 8-10€/MWh. A questo si aggiunge un incentivo di 110 euro per megawattora; mentre la remunerazione del surplus energetico rivenduto si attesta intorno ai 50€/MWh secondo la società pubblica di ricerca sul sistema energetico RSE. Sul fronte dell’investimento iniziale per la realizzazione dell’impianto si può ricorrere alle detrazioni fiscali esistenti sul fotovoltaico: 50% in 10 anni e anche in parte all’Ecobonus del 110%.
Costituire una CER richiede passaggi burocratici (qui una guida di accompagnamento a cura del GSE) ed è subordinato a prescrizioni tecniche. Una comunità può nascere unicamente aggregando utenze collegate alla stessa cabina elettrica.
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