DALLA “GRANDE OPPORTUNITÀ” AL “BINARIO MORTO”: IL SALTO INDIETRO DELL’EMILIA ROMAGNA CONTRO L’AUTONOMIA
Un rapporto complicato, di “amore e odio” quello tra l’Autonomia differenziata e l’Emilia Romagna, che si conclude ora definitivamente con il completo e assoluto “contrordine compagni” della nuova giunta di Centrosinistra. Quando nel 2018 (sembra passata un’era geologica politica, e non solo) la riforma dell’Autonomia differenziata veniva per la prima volta sottoposta al giudizio dei cittadini con i referendum in Lombardia e Veneto, i commenti dell’allora Presidente dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini erano entusiasti: coglieva l’attuale Presidente Pd un aspetto di grande opportunità che poneva finalmente in essere la riforma del Titolo V della Costituzione, voluta tra l’altro dai Governi di Centrosinistra nel 2001.
Quando poi la riforma prese corpo con la prima stesura del testo che sarebbe poi divenuto il ddl Calderoli una volta vinte le Elezioni il Centrodestra, fu lo stesso Bonaccini – ancora alla guida dell’Emilia Romagna – a sottolineare che l’Autonomia differenziata era un’ottima opportunità per far correre un Paese che troppo aveva subito il “rigurgito centralista” durante l’epoca Covid. Quando però la riforma Calderoli veniva incardinata e approvata come legge dello Stato nell’estate 2024 già la posizione di Bonaccini e dell’Emilia Romagna era cambiata, con le accuse di tutto il Pd alla legge considerata “spacca Italia”: era ancora l’epoca in cui si pensava che col referendum si sarebbe potuto picconare la riforma del Centrodestra, salvo poi arrendersi poche settimane fa con la bocciatura della Corte Costituzionale ad ogni progetto referendario della sinistra sull’Autonomia.
Nonostante il “dietrofront” politico, la proposta di una richiesta di Autonomia era comunque rimasta intatta in Regione Emilia Romagna, in attesa dell’insediamento della nuova giunta: ebbene, giunti ad oggi, il nuovo Presidente dem Michele De Pascale ha deciso di annullare qualsiasi richiesta precedente, dichiarando come “binario morto” ogni ipotesi di richiesta d’autonomia nella Regione più “rossa” d’Italia. Nell’intervento in Assemblea Legislativa dello scorso 19 febbraio, il Governatore De Pascale ha chiarito di aver ritirato la proposta di Autonomia, come del resto indicato in campagna elettorale prima della vittoria lo scorso autunno: «Lavoreremo, invece, per un’autonomia amministrativa e funzionale, a realizzare un’amministrazione di prossimità».
AUTONOMIA DIFFERENZIATA, È SEMPRE PIÙ SCONTRO POLITICO (IDEOLOGICO): COSA SUCCEDE ORA
Sebbene De Pascale nel suo discorso in Assemblea in Emilia Romagna sottolinei che il no secco all’Autonomia differenziata, cancellando la richiesta fatta dal suo predecessore (e compagno di partito) Bonaccini, non sia un affronto polemico contro la legge del Governo, il dietrofront non può che non essere letto come un cambio di strategia pienamente politica che identifica una riforma portata a termine dal Centrodestra come uno dei simboli da abbattere del Governo Meloni. Dall’Emilia Romagna alla Toscana, dalla Puglia alla Campania, le Regioni che hanno fatto ricorso nel quesito referendario contro la legge Calderoli, sono tutte amministrate dal “campo largo” o comunque da maggioranze a guida Pd.
Ad ulteriore riconferma, dopo il ritiro della richiesta di Autonomia differenziata fatta da De Pascale anche il Governatore pugliese, anch’egli dem, Michele Emiliano ha applaudito la retromarcia emiliana, «Il rischio era quello di un’Italia a due velocità». La proposta di De Pascale è di insistere non più sul «binario morto dell’Autonomia», ma su un «rigoroso e serio piano B» che deve essere un «tavolo per la riforma del Titolo V». La proposta del Centrosinistra insomma è quella di ritornare al 2001 con una nuova riforma, diversa da quella che lo stesso Pd all’epoca presentò: in questo senso, le opposizioni in Emilia Romagna chiedono alla Regione di ripensarci e di sfruttare la possibilità ora esistente con il ddl Calderoli. I consiglieri emiliani della Lega Fiazza e Rancan in una nota invitano De Pascale a tornare sui propri passi, evitando così l’aumento di tasse e uno spreco di risorse vitali a livello regionale: «una visione centralista che nega alla nostra comunità la possibilità di autogestirsi in modo più efficace e vantaggioso», denunciando i consiglieri leghisti.