Non si fermano – da diversi mesi a questa parte – gli scontri attorno all’autonomia differenziata proposta da Calderoli rispolverando quella riforma costituzionale voluta nel 2000 dal centrosinistra per contrastare il federalismo della Lega: uno scontro che ha portato le opposizioni di Governo (e soprattutto il Partito democratico di Elly Schlein) a proporre un referendum per abrogare la legge autonomista. Sul tema sono tornati in questi giorni anche gli ex senatori del Pd Enrico Morando e Giorgio Tonini con una lettera invita al Corriere in cui riflettono attorno all’autonomia e – soprattutto – sul referendum che secondo loro rischia di tradursi in un attacco contro la Costituzione.



“Il (..) referendum – spiegano immediatamente in apertura della loro riflessione – è solo formalmente contro la legge Calderoli [ma] in realtà è contro il principio costituzionale dell’Autonomia differenziata“, definito dal terzo comma dell’articolo 116: una tesi condivisa anche “dallo stesso presidente del comitato promotore, Giovanni Maria Flick” in una recentissima intervista – ricordano ancora i due ex senatori Dem – rilasciata al Manifesto.



Secondo Flick, infatti, il referendum serve a “salvaguardare la Costituzione di fronte a una prospettiva di riforma che minaccia di sconvolgere completamente il tessuto costituzionale“, con un chiari riferimento alla “riforma concettualmente sbagliata” del 2000 utilizzata oggi “per portare avanti l’Autonomia differenziata [in] un federalismo competitivo e non solidale” che “ripropone gli stessi difetti” della disastrosa legge approvata “dal centrosinistra” quasi un quarto di secolo fa.

I due ex senatori del Pd: “La legge sull’Autonomia può e deve essere rivista, ma è meglio del centralismo”

“Per queste ragioni – continuano i due ex senatori Dem nella loro lettera – non abbiamo firmato la proposta di referendum abrogativo” perché seppur “la legge Calderoli può e deve essere criticata in molti aspetti (..) in sé è troppo poca cosa per giustificare un referendum”: meccanismo che deve essere messo in gioco solamente quando da affrontare c’è “una grande questione di orientamento politico generale” e non solo “per emendare una legge di procedura“.



A destare le preoccupazioni dei due ex senatori del PD è soprattutto “l’uso del referendum per colpire non una legge ordinaria, ma un (..) titolo intero della Costituzione” che – soprattutto “in caso di successo” – rischia di uscirne “delegittimata, pur restando in vigore” quando si potrebbe usare “la procedura stabilita dalla Carta stessa, all’articolo 138”.

“Il titolo V – concludono i due ex senatori – è certamente rivedibile e perfettibile”, includendo tra le altro cose anche “la riforma del bicameralismo e la creazione di una vera Camera delle Regioni”; ma al contempo “non c’è nessuna ragione, (..) neppure di sostenibilità finanziaria, per abbandonare la strada dell’Autonomia in favore di una nuova stagione di centralismo“.