Dunque, il Mezzogiorno si trova di fronte alla duplice sfida dell’autonomia differenziata e del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Nel primo caso si tratta di non buscarle troppo forte dal Nord, nel secondo di non mandar sprecata l’occasione di dotarsi delle infrastrutture e delle condizioni ambientali per diventare finalmente attrattivo.
È un impegno davvero notevole perché in entrambi i casi non sembra che abbia – il Mezzogiorno – le energie, le persone, le idee che servirebbero a vincere le due partite per la vita che i tempi impongono. Né, d’altra parte, sembra possibile giocarne una senza tener conto dell’altra. Ci vorrebbe uno sforzo di raccoglimento e indirizzo comune di cui non c’è esperienza.
La maggior parte del dibattito verte intorno alle risorse finanziarie che nel caso dell’autonomia differenziata verrebbero maggiormente risucchiate dalle regioni ricche e nel caso del Pnrr potrebbero essere sottratte alle regioni povere in conseguenza della prevista revisione dei piani d’investimento intaccando così la quota del 40% fin qui loro riservata.
Senonché s’inseriscono nel dibattito due autori interessanti come Alberto Mingardi e Carlo Borgomeo che invitano a osservare la questione da differenti punti di vista esortando a non considerare la disponibilità di fondi come risolutiva del problema che da 70 anni resta sempre lo stesso: allineare la ricchezza del Meridione a quella del Settentrione.
Dice Mingardi in un articolo sul Corriere della Sera che “se lo sviluppo si facesse a suon di aiuti di Stato e dazi protettivi il Mezzogiorno sarebbe la Baviera e la Fiat non avrebbe mai avuto bisogno di Marchionne“. Vuol dire che nonostante tutti i soldi riversati attraverso l’Europa il reddito di un cittadino del Sud resta la metà di quello di un cittadino del Nord.
“Abbiamo sperimentato ogni sorta di incentivo e sussidio per spingere il Mezzogiorno sulla via dello sviluppo – chiarisce l’economista -. Incentivi selettivi, contratti d’area, patti territoriali, fondi strutturali: la nostra storia è un campionato di strumenti ciascuno dei quali doveva risolvere il problema delle aree depresse. Per usare un eufemismo, gli esisti sono stati modesti…”.
Non gli si può dar torto. E qui s’aggancia Borgomeo che nel suo ultimo libro – Sud, il capitale che serve – ribadisce un concetto che gli è caro: non sono e non saranno i soldi a fare la differenza, ma l’accumulazione di un sufficiente capitale sociale in grado di produrre idee e realizzarle. I sistemi fin qui sperimentati, è la tesi, non hanno funzionato. Occorre un cambio di paradigma.
“Fin quando si avrà un obiettivo puramente quantitativo, fin quando lo schema sarà quello di denunciare il divario e decidere di mettere i soldi necessari per superarlo, che poi non bastano mai – ammonisce il Presidente della Fondazione con il Sud -, il meccanismo non può che riproporre vecchi insuccessi”. E giudica deprimente l’appiattimento del dibattito sul Reddito di cittadinanza.
Vuol dire tutto questo che le preoccupazioni per come sarà divisa la torta economica nel prossimo futuro sono eccessive o addirittura ingiustificate? Certamente no. Il Mezzogiorno deve sapere e poter presidiare i suoi interessi per una giusta ed equilibrata divisione delle risorse in campo. Gli spazi conquistati vanno difesi e, se possibile, allargati. Ma occorre essere consapevoli che non basta reclamare e magari strappare diritti sulla carta se non si è poi capaci di esercitarli nei fatti.
Non ci si può accontentare di vittorie a tavolino da esibire in dibattiti e conferenze stampa perché ciò che davvero conta è avere alle spalle una società – istituzioni, famiglie, imprese – in grado di cogliere le occasioni. Senza sprecarle, una dopo l’altra.
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