Le tipiche esigenze della polemica rumorosa e urlata, unite alla peculiarità della contrapposizione che caratterizza e, talvolta, giustifica il ruolo di maggioranza ed opposizione, riescono spesso a trasformare una opportunità in un problema. Faccio riferimento al tema dell’autonomia differenziata, ed in particolare al testo appena approvato in parlamento e alle sue ricadute per quanto riguarda la sanità del nostro Paese.
Da una parte alcuni si stracciano le vesti prefigurando il definitivo naufragio del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) ed invocano un referendum abrogativo del provvedimento appena approvato, dall’altra altri tessono le lodi delle nuove opportunità che si offriranno a tutte le Regioni per un futuro radioso e meno disuguale.
Dicendo che entrambe le esagerazioni sbagliano (e non lo dico perché si pensi che in medio stat virtus), vorrei cogliere l’occasione per cercare di valutare le ricadute che il provvedimento parlamentare può avere sul comparto sanitario, una delle materie sulle quali alcune Regioni hanno già fatto (o hanno anticipato che faranno) richiesta di autonomia.
Come noto, secondo il testo approvato la richiesta di autonomia può partire solo dopo che sono stati identificati i LEP (Livelli essenziali delle prestazioni), cioè quel livello minimo (nel senso di essenziale) di prestazioni che ogni Regione è tenuta a garantire nelle materie oggetto di richiesta. Da questo punto di vista la sanità è avanti, perché da un paio di decenni i LEP sono già stati formalmente definiti e sono operativi (si chiamano LEA: Livelli essenziali di assistenza), e quindi la richiesta di autonomia può essere avanzata già dal primo giorno di vigenza della legge.
Legittime sono le osservazioni di chi evidenzia le potenziali difficoltà che l’applicazione della legge può generare, e altrettanto legittime sono le aspettative di miglioramento dei favorevoli: che il dibattito si mantenga aperto è fondamentale, soprattutto in questo momento in cui molti aspetti applicativi e molti dettagli non secondari attendono ancora di essere definiti o precisati, visto che il testo approvato è sostanzialmente procedurale, come dicono gli esperti, ma per essere efficace deve essere un dibattito ancorato ai fatti e non alle (per quanto legittime) posizioni ideologiche.
A titolo di esempio per il ragionamento, prendiamo l’argomento che maggiormente ha destato (e sta destando) polemica: per gli uni aumenteranno iniquamente le disequità tra le Regioni, a favore di quelle più ricche; per gli altri, al contrario, le Regioni in difficoltà avranno più opportunità. Quale è ad oggi il dato di realtà per quanto riguarda la sanità? Non serve sciorinare erudita letteratura per affermare che sono drammaticamente evidenti le differenze tra Regioni e la loro capacità (da parte di alcune) o incapacità (da parte di altre) di erogare i LEA. A ennesima dimostrazione di queste differenze ricordiamo solo due recentissimi contributi: della Scuola Sant’Anna di Pisa (19 giugno 2024) con i risultati delle Regioni che volontariamente partecipano al network coordinato da tale Istituto; del CREA Sanità (Centro per la ricerca economica applicata in sanità) sulle performance regionali (20 giugno 2024).
Le differenze regionali non sono state causate né da questo governo né dal precedente (o precedenti): sono conseguenze di una storia di sviluppo del nostro Paese a cui hanno partecipato tantissimi fattori che non mi permetto nemmeno di iniziare ad elencare. La migrazione sanitaria alla ricerca di servizi migliori non è certo una piaga di questi tempi; la incapacità di erogare i LEA da parte di alcune Regioni (sempre le stesse, per altro) è documentata da quando sono iniziate le valutazioni; addirittura si può dire che la riduzione delle disparità territoriali è stato un obiettivo prioritario delle politiche sanitarie sin dalla istituzione del SSN (1978), anche se con risultati molto discutibili, come in aggiunta dimostra il fatto che quelli che oggi urlano e manifestano contro l’autonomia differenziata chiedendo l’abrogazione della legge perché creerebbe sanità di serie A e di serie B sono gli stessi che hanno governato la sanità negli ultimi 10-15 anni (questo governo a parte) e che nulla hanno fatto (o hanno potuto fare) per sanare (o almeno ridurre) le tante disparità territoriali che stanno caratterizzando il nostro SSN.
Se da una parte è giusta la preoccupazione di non partecipare (con la legge) ad aumentare le eterogeneità ed iniquità già presenti, ma anzi che occorra cercare di diminuirle, dall’altra c’è bisogno di trovare le modalità concrete perché questo possa avvenire, cioè perché le prospettive che (secondo i promotori) l’autonomia differenziata offre diventino reali opportunità di trasformazione per le sanità regionali. Questo suggerisce, ad esempio, che si vada verso una idea di autonomia cooperativa anziché competitiva, dove la maggiore autonomia riconosciuta ad alcune Regioni rappresenti uno stimolo (un “traino”, suggerisce il citato rapporto del CREA Sanità nominando la legge) per tutte le altre.
Venendo allo specifico della materia sanitaria, nonostante il rumore degli obiettori, è ragionevole ipotizzare che non cambierà molto. E questo non perché lo sostiene il ministro Schillaci (20 giugno 2024), che è chiaramente una sola delle parti in causa, quella che rappresenta i favorevoli, ma perché lo attesta la realtà. Come ci ricorda ancora il citato rapporto del CREA alla luce delle bozze di richieste regionali avanzate, la maggiore autonomia richiesta è in larga misura associata alla possibilità di legiferare “su temi organizzativi, relativamente al personale, alle compartecipazioni, alla definizione dei tetti e di alcuni aspetti della politica farmaceutica, …”, temi che non sembrano avere un grande impatto come trasferimento di risorse dal livello centrale a quello regionale.
Certo, ad esempio, il tema del personale e delle sue politiche retributive può essere molto delicato, perché occorre evitare che le Regioni con maggiori risorse possano risultare attrattive ed indurre i professionisti alla mobilità. Dal punto di vista del servizio sanitario due appaiono i punti di maggiore interesse ed impatto.
Il primo ha a che fare con il livello di efficacia e di efficienza dei servizi sanitari regionali, cioè con la capacità che le richieste di autonomia inneschino un meccanismo virtuoso che metta in gioco tutte le Regioni attraverso forme di cooperazione, che favoriscano il buon governo anziché la competizione. Il secondo chiama in causa la sussidiarietà come tentativo di far corrispondere il livello della risposta sanitaria (e sociale, politica, amministrativa, …) con il livello dell’interesse e/o del bisogno del cittadino: è l’idea di prossimità e vicinanza al bisogno, più esercitabile da chi al bisogno è più vicino. Per questo, e richiamando il sempre amato Alessandro Manzoni: “Adelante, Pedro, con juicio, se puedes”.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.