L’autonomia differenziata è un’occasione perché le Regioni siano al passo con le aree più sviluppate dell’Europa e del mondo, per garantire una risposta più veloce ed efficiente ai problemi del territorio, quelli che Roma, per mancanza di conoscenze specifiche, non sa risolvere in tempi e modi adeguati. Per Attilio Fontana, presidente della Regione Lombardia, che oggi parteciperà al Meeting di Rimini a un dibattito sul Servizio sanitario nazionale, la nuova legge sull’autonomia rappresenta un modo per portare a compimento la Costituzione, per garantire servizi più efficienti, ad esempio in campo sanitario.



Tutto questo senza aumentare le spese dello Stato per una singola regione, ma semplicemente lasciando che essa decida autonomamente come spendere le risorse a disposizione, tenendo conto, appunto, delle esigenze del suo territorio.

L’autonomia differenziata è ormai legge. Cosa può cambiare realmente per la Lombardia? Quali ricadute si devono aspettare i lombardi?



Credo che questa riforma, che poi è la Costituzione, perché la legge di Calderoli non fa altro che indicare la strada attraverso la quale realizzare la Costituzione, sia un vantaggio per tutte le Regioni che vorranno approfittare di questa opportunità. Da sempre ritengo che i territori siano capaci di dare delle risposte più veloci e più efficienti, legate alle necessità specifiche, rispetto a quello che può fare il potere centrale. Il primo vantaggio che i cittadini possono ricevere sarebbe quello di avere procedure più snelle, in linea con l’Europa, con il mondo, con le aree con le quali la Lombardia e le altre Regioni devono competere.



Cosa pensa del dibattito in corso?

Nel dibattito sull’autonomia si sta cercando in modo becero di buttarla sui soldi, sul tentativo di arricchire i ricchi e di impoverire i poveri. Un tentativo che mi indigna, anche perché arriva da coloro che sono stati tra i primi propugnatori di questa autonomia, come Bonaccini, che aveva come sua vicepresidente in Emilia l’onorevole Schlein.

Quali sono gli ambiti nei quali la Regione potrebbe chiedere di “fare da sola” e che interventi immaginate in questi settori?

Oggi come oggi dobbiamo attenerci alle materie non Lep, quelle per le quali non si devono prevedere i Livelli essenziali di prestazione e che quindi possono essere trasferite senza che questi livelli vengano approvati. Subito dopo sicuramente le materie Lep che sono più vicine alla realizzazione: la sanità, ad esempio, non ha i Lep ma i Lea, Livelli essenziali di assistenza, che hanno solo bisogno di una formalizzazione perché diventino Lep. Poi c’è l’ambiente, per il quale i Livelli essenziali di prestazione sono quasi interamente scritti e realizzati. Sono materie in cui i nostri cittadini potranno toccare con mano, in maniera molto concreta, le differenze.

Nella sanità lombarda cosa può cambiare grazie all’autonomia? Come verrà indirizzata la spesa da parte della Regione, per migliorare quali servizi?

Non chiediamo più soldi di quelli che oggi ci vengono trasferiti, non chiediamo nessun privilegio, ma solo che le risorse che vengono da Roma possano essere spese come meglio crediamo. Per il bilancio dello Stato non cambia niente. Faccio un esempio: nel 2014 una sciagurata finanziaria di Renzi disse che le risorse per il personale dovevano essere quelle spese nel 2004 ridotte dell’1,4%. Una limitazione per noi particolarmente grave. Avevamo risorse e necessità per assumere medici e infermieri e non lo abbiamo potuto fare. Molti sono andati a lavorare altrove, in Svizzera, a Londra, negli USA. Se avessi avuto l’autonomia, avrei speso i soldi per trattenerli, sarebbe stato un vantaggio per la Lombardia ma anche per l’intero Paese.

In quale altro modo la Lombardia potrebbe intervenire sulla sanità?

Si possono aumentare gli stipendi, non proporzionati all’impegno e alle responsabilità del personale, utilizzarli nell’edilizia territoriale. In certe valli interne abbiamo bisogno di incentivare chi è disposto a fare il medico lì. Abbiamo bisogno di politiche che tengano conto delle necessità territoriali, di incentivare i medici delle zone di confine a non andare all’estero. È difficile dire a un infermiere di rimanere in Italia quando, se va a Lugano o a Mendrisio, il suo stipendio si triplica. Sono realtà che a Roma forse neppure conoscono.

Si è acceso il dibattito sul SSN e sul modo di garantire uguali servizi a tutti. Il primo problema che si tocca è quello delle risorse. Ma è solo su questo che bisogna intervenire?

Chi parla solo di risorse non conosce i veri problemi della sanità, fa solo demagogia. È chiaro che ci vogliono le risorse, ma se non cambiamo impostazione non saranno mai sufficienti. La nuova sanità non potrà più essere incentrata sull’ospedale, che dovrà esserne solo una parte. Nei giorni successivi a Ferragosto, a Varese il pronto soccorso ha dovuto assistere 250 persone al giorno. Non è concepibile. Dalle indagini che abbiamo fatto, il 70% degli accessi sono codici bianchi o verdi che non devono essere risolti a livello di pronto soccorso. L’anno scorso abbiamo reso oltre 800mila prestazioni in più rispetto all’anno precedente, eppure le liste di attesa non si sono ridotte in maniera sostanziale. Se si va avanti così, varrà il principio per cui all’aumento dell’offerta aumenta anche la domanda.

Quindi qual è la soluzione?

Bisogna fare in modo che ci sia una prima barriera sul territorio, valorizzare il lavoro dei medici e degli infermieri di base. C’è bisogno di più assistenza domiciliare, più attenzione alla tecnologia, utilizzando ad esempio la telemedicina. Se non cambiamo impostazione, rischiamo di vedere la nostra sanità implodere nel giro di quattro anni. La nostra sanità è una delle poche universalistiche e da questo principio non dobbiamo allontanarci.

C’è il pericolo che l’autonomia differenziata venga bloccata dal referendum?

Mi auguro di no, perché vorrebbe dire sconfessare la nostra Costituzione, una parte della quale verrebbe smentita dal popolo. Il problema è che su questo tema si sta cercando di mettere contro il Nord e il Sud, di creare un’assoluta contrapposizione. Non temo tanto il referendum quanto una spaccatura nel nostro Paese, che nasce dalle modalità con cui viene posto il dibattito sull’autonomia. Se qualcuno mi dicesse che è contro l’autonomia perché è a favore del centralismo, gli direi che rispetto la sua idea e sarei pronto a discuterne. Ma non accetto chi fa bieca e squallida demagogia cercando di spaventare la gente.

(Paolo Rossetti)

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI