La premessa minore non sembra corrispondere a quella maggiore. Nel senso che l’esperienza di tutti i giorni, le peripezie dei cittadini alle prese con la burocrazia, la difficoltà delle famiglie ad arrivare alla fine mese, l’impulso dei giovani ad abbandonare i territori di appartenenza, i problemi dei piccoli imprenditori nell’accedere al credito e tutto quello che attiene all’affanno della vita quotidiana raccontano di un Paese che appare distante dal quadro confortante che scaturisce dalla lettura dei dati aggregati che misurano la tenuta della ricchezza nazionale, l’incremento dell’occupazione, il primato nelle esportazioni e così via.



Da una parte ci confrontiamo con numeri e statistiche che dovrebbero rassicurarci sulla qualità del presente e la bontà del futuro che ci aspetta, dall’altra siamo colpiti dalla fragilità delle storie minime che la cronaca ci consegna come se i successi del livello aggregato faticassero a discendere per i rami della società diventando patrimonio di tutti o, almeno, della maggior parte dei cittadini. Certo, se quei risultati non ci fossero le cose andrebbero peggio. Ma la percezione della popolazione che fa i conti con la scuola dei figli, il fitto di casa, la spesa al supermercato non induce a cedere a facili ottimismi.



Allora quello che scriviamo e leggiamo sui giornali non è vero? Non è vero che l’Italia abbia reagito ai duri colpi del Covid meglio dei partner europei? Non è vero che la disoccupazione stia scendendo ad altezze quasi fisiologiche? Non è vero che le imprese innovano e vincono sui mercati internazionali dove conquistano sempre nuove posizioni? Niente affatto. Non si può negare che tutto questo sia vero. Ed è anche vero che il Mezzogiorno stia tentando di tirarsi fuori della palude del suo scetticismo chiedendosi come fare a non perdere le occasioni che, Piano nazionale di ripresa e resilienza in testa, gli passano davanti.



È evidente che stiamo a uno di quei fatali punti di svolta di cui tanto si parla quando si presentano all’orizzonte. Il Paese ha potenzialità che esprime solo in minima parte. Quando lo fa quasi ci meravigliamo delle nostre capacità abituati come siamo da troppo tempo a concentrarci sui difetti che ci divertiamo a ingigantire in un gioco di rinfacci che rimbalzano da una fazione all’altra, di qualsiasi contesto si tratti, ammaccando prima o poi tutti i partecipanti alla giostra. Le forze della resistenza provano a contrastare quelle del cambiamento e spesso ci riescono perché in genere più agguerrite e attrezzate.

Il cambiamento, appare chiaro, non è mai buono e giusto in sé. Per essere tale deve portare o almeno promettere miglioramenti al benessere del sistema nella maniera più diffusa possibile per evitare che ad avvantaggiarsene siano pochi e magari sempre gli stessi. Ed è giusto che si discuta intorno agli argomenti caldi come si sta facendo con il progetto di autonomia differenziata che sta spaccando il Paese nel dibattito prim’ancora che nei fatti. La riforma controversa sarà in grado di migliorare la gestione della cosa nazionale o la peggiorerà creando tanti staterelli l’un contro gli altri armati?

E, soprattutto, riuscirà ad avvicinare il Sud al Nord come sarebbe necessario o contribuirà ad accentuare il divario con danni permanenti? Le amicizie si mantengono lunghe quando i patti sono chiari e dunque occorre gettare molta luce sugli aspetti più opachi per evitare cattive sorprese. E la retorica di un Meridione in buona salute non può fornire l’alibi per metterlo a una prova che non potrebbe superare. Equilibrio e fiducia devono scendere in campo per esigere il rispetto delle regole: narrare i fatti per come sono, cercare soluzioni che siano davvero utili e profittevoli per la comunità nel suo complesso.

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