Autonomia differenziata, a che punto siamo? Negli ultimi giorni sono stati fatti alcuni passi in avanti, ma non è stata univoca l’interpretazione. Vediamo di cosa si tratta, ricapitolando, in estrema sintesi, la situazione.
La Costituzione è stata modificata nel 2001 prevedendo, tra l’altro, un meccanismo particolarmente innovativo che può consentire di attribuire “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” alle Regioni a statuto ordinario che lo richiedano. Affinché ciò accada occorre, per ciascuna Regione richiedente, una legge approvata dal Parlamento con la maggioranza assoluta in ciascuna Assemblea e “sulla base di intesa tra lo Stato e la Regione interessata”. Sono passati 22 anni e sino ad oggi il meccanismo non è stato applicato, a dispetto delle tante richieste formulate da uno schieramento regionale che si è sempre più allargato. Molti Governi, e relative maggioranze parlamentari, si sono dimostrati contrari; altri Governi, pur tendenzialmente favorevoli, non sono riusciti nell’impresa.
Tra i principali ostacoli da affrontare, il primo riguarda l’obiettiva necessità di integrare la disciplina costituzionale (l’art. 116, comma 3) con una legge-quadro volta ad assicurare un’attuazione sistematica e omogenea dell’autonomia differenziata. Infatti è del tutto irragionevole, e anzi sarebbe foriero di conseguenze molto pregiudizievoli per l’unità della Repubblica, immaginare di dar vita all’autonomia differenziata mediante una congerie di “leggi previa intesa” che fossero tra loro incoerenti o addirittura contraddittorie sia nei procedimenti seguiti che nei contenuti disciplinati.
È evidente, insomma, che occorre una legge-quadro che preceda e sovraintenda alla stipulazione delle intese tra lo Stato e le Regioni, così guidando in modo unitario la successiva approvazione parlamentare delle singole leggi di attribuzione delle “ulteriori condizioni” di autonomia alle Regioni richiedenti.
L’attuale coalizione di governo, sin dal programma presentato agli elettori, ha posto l’autonomia differenziata tra i suoi obiettivi di politica istituzionale. E allora, subito dopo la formazione dell’esecutivo si è agito per affrontare la questione propedeutica della legge-quadro. Il ministro responsabile per gli affari regionali, Calderoli, ha reso noto un primo testo di disegno di legge-quadro e su questa base ha avviato il confronto con le Regioni che ne hanno sottolineato alcuni aspetti critici.
Lo scorso 2 febbraio, poi, il Consiglio dei ministri ha approvato il testo del disegno di legge-quadro in cui sono state apportate non poche modifiche rispetto alla formulazione originaria. Questo testo è stato poi sottoposto al necessario parere sia della Conferenza dove sono rappresentate le Regioni e le Province autonome, sia della Conferenza unificata dove, oltre alle Regioni e alle Province autonome, sono rappresentati anche Comuni, Città metropolitane e Province.
Dai rappresentanti dei Comuni è stata chiesta una pausa di riflessione, richiesta che è stata accolta dal Governo che ha rinviato le Conferenze a venerdì scorso, quando la Conferenza delle Regioni ha espresso il parere positivo a larghissima maggioranza (solo 4 Regioni hanno votato in senso contrario, cioè Emilia-Romagna, Toscana, Campania e Puglia), mentre nella Conferenza unificata l’associazione rappresentativa dei Comuni e Città metropolitane (Anci) e quella rappresentativa delle Province (Upi) hanno presentato due documenti con alcune osservazioni, considerazioni e proposte emendative. Il ministro, conseguentemente, ha dichiarato “l’intenzione di portare all’attenzione del Consiglio dei ministri alcune delle richieste espresse dagli enti locali”. Ciò significa che, a breve, e anche apportando correttivi coerenti con le osservazioni e le proposte prospettate da Anci e Upi, il Governo approverà la versione definitiva del disegno di legge-quadro che, previa autorizzazione del Capo dello Stato, sarà trasmesso al Parlamento per il relativo procedimento di esame e approvazione.
Nei documenti che le associazioni rappresentative dei Comuni e delle Province hanno presentato durante la Conferenza unificata, soprattutto chi si oppone all’autonomia differenziata ha visto l’emersione di ostacoli decisivi per il prosieguo di questo procedimento. In verità, così non è. Innanzitutto, infatti, se il testo dell’Anci appare senz’altro più critico rispetto a quello dell’Upi, entrambi i documenti non si concludono né con la proposta di parere contrario, né, tanto meno, con la richiesta di ritirare il disegno di legge-quadro.
Se poi si guarda al contenuto dei due documenti, quello dell’Upi presenta, in conclusione, una decina di proposte modificative assai circoscritte nel merito, e che, in buona sostanza, sono rivolte a valorizzare e salvaguardare il ruolo degli enti locali nel procedimento di attuazione dell’autonomia differenziata, e non a impedire quest’ultima. Circa il documento dell’Anci, seppure sia più ampio e incisivo il complesso delle osservazioni formulate in senso critico, il ventaglio delle proposte emendative appare sempre numericamente limitato – nel complesso, una decina – e risulta parimenti teso a difendere il ruolo degli enti locali, e non certo a precludere tout court l’autonomia differenziata.
Un aspetto che è stato particolarmente sottolineato dall’Anci – e non poteva essere altrimenti – è quello del destino delle funzioni amministrative che saranno trasferite a seguito dell’attribuzione delle ulteriori competenze: saranno esercitate prevalentemente dalle Regioni o dai Comuni? Questo, a ben vedere, è il vero punto di attacco del documento dell’Anci: tenere ferma l’impostazione del prevalente “municipalismo amministrativo” che è stato sancito nella riforma costituzionale del 2001, e porre un argine nei confronti della possibile introduzione – nelle materie oggetto del regionalismo differenziato – di un modello simile al “federalismo di esecuzione” che vedrebbe le Regioni diventare il pivot del sistema amministrativo. È la vexata quaestio, sinora irrisolta, del ruolo da assegnare alle Regioni: organi di legislazione e programmazione, o anche vertici dell’azione amministrativa decentrata?
Tecnicamente, è una questione facilmente risolvibile una volta che sarà adottata, a monte, la relativa scelta politica. In ogni caso, è una questione per così dire “interna” al processo di autonomia differenziata, ormai instradato dal Governo nel momento in cui si è deciso di affrontare con decisione il primo e indispensabile passo, quello cioè della redazione e dell’approvazione della legge-quadro. E con i due passaggi nelle Conferenze e le posizioni ivi espresse dalle rappresentanze degli enti territoriali, l’abbrivio si è complessivamente accelerato: il Governo non si è sottratto al confronto con le Regioni, mostrando anche duttilità; nelle Regioni il fronte favorevole si è dimostrato molto compatto; e le associazioni dei Comuni e delle Province si sono mosse nella logica del contributo che, certo, per alcuni aspetti è stato critico, ma non pregiudizialmente negativo e comunque improntato alla correzione del testo.
Spetterà adesso al Parlamento, nel confronto tra le forze politiche e anche migliorando l’atto governativo di iniziativa della legge-quadro, dare il primo e fondamentale via libera per procedere poi alla stipulazione delle intese con le Regioni e alla conseguente approvazione delle singole leggi di attribuzione delle competenze “differenziate”. Occorrerà saper cogliere questo momento per una discussione davvero seria e trasparente, e auspicabilmente non condizionata da strumentalizzazioni, anche perché, è evidente, nessun dettaglio sarà irrilevante e ogni specifico aspetto della legge-quadro sarà decisivo per garantire un’attuazione equilibrata e nell’interesse del Paese tutto.
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