Ora che il Capo dello Stato Sergio Mattarella ha firmato la legge sull’autonomia differenziata, allontanando così i dubbi sulla sua incostituzionalità, con il dettato di quel provvedimento occorre fare i conti. Certo, è assai probabile che le opposizioni tentino la spallata del referendum – rimettendo agli italiani la scelta sul da farsi -, ma nell’attesa che la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale renda effettiva la norma non sarebbe sbagliato passare dalla sterile critica all’azione concludente.
E già la cronaca s’incarica d’informarci che il più agguerrito avversario della riforma, il governatore della Campania Vincenzo De Luca, che guidò una vera e propria rivolta dei sindaci meridionali nella piazza di Montecitorio, ha realisticamente preso atto dell’andamento delle cose sfidando la maggioranza ad accogliere poche ma significative modifiche dell’impianto – soprattutto in campo sanitario – per rendere effettivamente paritarie le condizioni di partenza e assicurare una competizione corretta.
Anche il neoeletto presidente della Basilicata, Vito Bardi, ha dichiarato di essere pronto ad accettare la sfida del regionalismo spinto additando l’attuale sistema come responsabile del depauperamento del Sud e del divario oggi esistente nella qualità dei servizi erogati. Ben venga l’autonomia se potrà servire a togliere il Mezzogiorno dalla condizione di sudditanza nella quale è stato precipitato. Spesso, aggiungiamo noi, adagiandosi comodamente su un letto di incentivi che non è servito a farlo progredire.
Bardi, si dirà, è espressione della maggioranza – precisamente di Forza Italia – e non avrebbe potuto dire diversamente per non smentire la formazione di appartenenza che, sia pure senza grande entusiasmo, ha condiviso il cambiamento. Anche Roberto Occhiuto, alla testa della Calabria, appartiene allo stesso campo, ma si è dissociato dal Governo per difendere le presunte ragioni territoriali che vorrebbero sbarrare il passo alla modifica della Carta fondamentale per evitare il temuto sfascio del Paese.
Al punto in cui siamo ciò che conta è solo il “come”. Come sarà impostato il percorso da intraprendere, come assicurarsi che siano correttamente individuati i Livelli essenziali delle prestazioni (Lep) che sono il cuore del problema, come garantire che siano reperiti i fondi per finanziarli, come evitare di ricadere nella trappola della spesa storica che premia i territori ricchi a discapito di quelli poveri, come dotarsi di personale politico e amministrativo in grado di conseguire risultati apprezzabili.
Non è roba da poco. Ma sono i temi su cui vale la pena concentrarsi, perché superato il tempo delle contrapposizioni ideologiche – con confusione di posizioni dal momento che chi sosteneva una cosa ieri la smentisce oggi e viceversa – occorre passare alla fase in cui si discute sui contenuti. E qui la gara si fa interessante perché verranno fuori competenze e abilità che faranno la differenza. Senza trucchi, perché nessuno può dubitare del ruolo di arbitro imparziale che assumerà il presidente della Repubblica.
A questo punto si potranno valutare la nobiltà degli intenti e la qualità dei negoziatori, se il fine è esasperare le differenze a favore del Nord o creare le condizioni per una più efficiente gestione della nazione, se alle argomentazioni degli uni corrisponderanno i ragionamenti degli altri. Insomma, la partita si giocherà sul campo e sarà bene che accademici, esperti, consessi imprenditoriali e culturali si facciano trovare pronti a fornire il proprio contributo, perché passato il periodo delle recriminazioni non giunga quello delle distrazioni.
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