Caro direttore,
il susseguirsi, a ritmo serrato, del rinnovo degli organi in diverse Regioni ha portato nuovamente al centro del dibattito politico la questione del regionalismo italiano, dopo la stagione delle modifiche al Titolo V della Costituzione e dell’approvazione della legge sul federalismo fiscale, con i conseguenti decreti legislativi.



In questo quadro, pur senza nulla togliere all’importanza delle altre Regioni, mi pare stia assumendo una particolarissima rilevanza la sfida elettorale dell’Emilia-Romagna, che vede fronteggiarsi, con possibilità di vittoria, il presidente piddino uscente Bonaccini e la sfidante leghista Lucia Borgonzoni.

Il fatto, però, che tale confronto potrebbe determinare ripercussioni rilevantissime sul governo nazionale non deve, a mio parere, far perdere di vista l’opportunità di utilizzare questa occasione per una riflessione approfondita sul ruolo che le Regioni possono svolgere in questa congiuntura molto complessa ed irta di problemi per il nostro Paese.



Mentre in Italia non si è riusciti ancora, dopo anni di discussione, a fare un passo avanti nel riconoscimento di un maggior livello di autonomia alle Regioni che, come previsto dalla Costituzione, lo hanno chiesto, il confronto con le realtà europee più avanzate è piuttosto sconfortante.

I dati dell’Osservatorio economia e territorio promosso dalle Cna regionali di Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, presentati qualche mese fa, evidenziano che le nostre tre Regioni più performanti

“sono le Regioni italiane più competitive d’Europa a livello economico, produttivo e commerciale. La Lombardia è al 4° posto in Europa per valore delle esportazioni (circa 121 miliardi di euro nel 2017), dietro solo ai grandi Länder tedeschi del BadenWürttemberg,  della Baviera e del NordReno-Vestfalia; l’Emilia-Romagna occupa la 6° posizione in Europa per export per abitante (circa 13.500 euro), la prima tra le Regioni ‘non tedesche’; il Veneto figura invece all’8° posto tra le principali Regioni Ue per quota delle esportazioni sul Pil (oltre il 38%), livello leggermente inferiore solo a quello del Baden-Württemberg. Tuttavia, Baden-Württemberg, Baviera e NordReno-Vestfalia e gli altri Länder tedeschi beneficiano non solo di un quadro nazionale maggiormente competitivo rispetto al nostro, ma anche di maggiori competenze e risorse a livello regionale”.



“Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur”: il mondo, l’Europa non stanno fermi e la sfida fra territori è sempre più serrata.

In quest’ottica, in attesa che il confronto sull’autonomia esca dal pantano, le elezioni in Emilia-Romagna possono offrire lo spunto per una riflessione su come far dare un colpo d’ala a quell’area del Paese che è nelle condizioni di poter ridurre il divario con le più forti aree europee in termini di sviluppo e di qualità della vita, con un beneficio indotto per tutta l’Italia.

Se la guida politica dell’Emilia-Romagna diventasse omogenea a quelle che già governano le altre regioni del Nord (ma questa prospettiva dovrebbe essere tenuta presente anche in caso di riconferma di Bonaccini), sarebbe forse più facile cercare di dare “forma” politico-amministrativa a quella che è una realtà di fatto. Guardando l’Italia dal satellite, risulta lampante che, al di là dei confini amministrativi, tutto il Nord appare come un’unica conurbazione che comprende, senza soluzione di continuità, i territori di Piemonte, Liguria, Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna (per rimanere alle Regioni a statuto ordinario).

Senza entrare nel dibattito annoso sulle macroregioni, che non ci porterebbe a nulla di concreto in tempi ragionevoli, perché non utilizzare gli spazi consentiti dalla nostra Carta costituzionale per fare un passo avanti verso l’integrazione di questi territori?

L’ottavo comma dell’art.117 prevede che le Regioni possano gestire insieme delle funzioni loro attribuite dalle norme, dotandosi anche di strutture comuni. Su problemi come la dotazione di grandi infrastrutture, come l’inquinamento dell’aria e delle acque, il sostegno alla ricerca attraverso anche la valorizzazione dei nostri poli universitari, la politica dei trasporti di persone e cose, le società strumentali, la protezione civile, e perfino la sanità ha senso che non si arrivi a gestioni comuni, giungendo ad unificare anche le strutture tecniche, evitando sprechi di risorse e sovrapposizioni?

Capisco che parlare di queste cose in una realtà campanilistica come l’Italia può sembrare velleitario e astratto, ma esistono già alcuni esempi, limitati e tuttavia significativi, che testimoniano che non è impossibile: ad esempio Lombardia ed Emilia-Romagna hanno l’Istituto zooprofilattico in comune, oppure le Regioni sui cui territori scorre il Po si sono dotate di un’unica agenzia per la gestione delle problematiche connesse a manutenzione e navigazione.

Credo sarebbe interessante se sul suo quotidiano online potesse trovare spazio un dibattito su queste problematiche, finalizzato a dare un assetto sempre più efficiente alle strutture politico-amministrative del nostro Paese.