La ripartenza dell’iter legislativo per l’approvazione della legge di attuazione dell’art. 116, III comma, Cost. ha come punto di riferimento un testo che è stato molto ampliato rispetto al testo governativo.

Basta scorrere il primo degli articoli, quello che enuncia i principi ispiratori della legge, per comprendere come vi siano confluiti molti elementi fortemente richiesti soprattutto da chi vedeva e ancora vede nel regionalismo differenziato la cosiddetta “secessione dei ricchi” e teme uno sbilanciamento dei già precari equilibri tra Regioni a tutto favore delle Regioni differenziate.



Ma non è solo l’art. 1 ad avere avuto integrazioni. Ricorre più volte nell’articolato il tema dell’unità nazionale, del superamento del gap infrastrutturale, degli equilibri di bilancio da rispettare e, soprattutto, la necessità di determinare i livelli essenziali delle prestazioni (Lep) nonché i costi e i fabbisogni standard, fondamentali perché resti – oltre la differenziazione – un sostanziale tasso di uniformità tra i diversi territori.



Benché certamente tutte queste precauzioni non serviranno a sopire del tutto i timori, tuttavia il nuovo testo mira a rafforzare il consenso tra le diverse forze politiche e ad ottenere anche l’approvazione di tutte le obiezioni di natura sostanziale che la dottrina costituzionalista e regionalista ha avanzato nei mesi precedenti a questa svolta. Il dibattito in Commissione è pervenuto ad apportare tutte le modifiche ritenute necessarie per avere garanzia di una buona riuscita dell’operazione prevista dalla Costituzione, in grado di dar seguito alle aspirazioni delle Regioni che vorrebbero avere più funzioni e, allo stesso tempo, di non creare squilibri tra le diverse aree del Paese.



All’esito, il testo in discussione è assai diverso dal disegno originario. Esso è infatti assai più corposo e, pur non avendone sconfessato l’impianto, si dilunga in procedure assai dettagliate, volte a superare eventuali dissensi che emergessero nell’iter di formulazione e di negoziazione dell’intesa e a valorizzare il ruolo del Parlamento, che viene tenuto al corrente dei diversi passaggi in sede governativa affinché possa esprimere i propri indirizzi, visto che sarà proprio il Parlamento – a maggioranza assoluta – a votare la legge che recepisce l’intesa.

Intrecciato con questo scopo si presenta anche l’iter che dovrebbe portare alla definizione dei livelli essenziali delle prestazioni in tutte le materie elencate nell’art. 116, III comma, definizione che è prodromica al conferimento alle Regioni richiedenti delle funzioni che esse ritengono di poter attuare nel proprio territorio. In questo modo si dovrebbe pervenire a realizzare qualcosa che non era mai stato compiuto prima: dare attuazione anche alla lettera m) dell’art. 117, II comma, insieme al completamento della legge sul federalismo fiscale almeno per quanto riguarda i costi e i fabbisogni standard.

L’ampiezza delle prospettive che così si aprono non è irrilevante. Non si tratta solo di dar corpo ad un elemento di cornice del nostro regionalismo, la differenziazione; sono invece presenti alcuni suoi elementi sostanziali, come i contenuti essenziali dei diritti sociali e i loro costi, in base ai quali operare un riparto delle risorse finanziarie destinate al welfare state capace di dare soddisfazione ai crescenti bisogni della popolazione.

Questa prospettiva dà ragione a chi sosteneva fin dall’inizio del dibattito che ragionare di realizzazione dell’art. 116, III comma non avrebbe giovato solo ai richiedenti e alle loro popolazioni. Ben di più: esso avrebbe potuto dare un contributo essenziale al benessere di tutti, indipendentemente dalla loro collocazione geografica. Se tutto quanto è scritto nel nuovo testo, dunque, si realizzerà, una simile prospettiva corre davvero il rischio di… realizzarsi.

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