Mano visibile e mano invisibile, Stato e Mercato, sono due facce della stessa medaglia. Non si escludono a vicenda. Piuttosto, si completano e si integrano. È questa la terza via indicata da Claudio De Vincenti – economista con esperienze di ministro e sottosegretario alla presidenza del Consiglio – nel suo ultimo libro “Per un governo che ami il mercato” (il Mulino, 2024).
Del volume e dell’argomento si discuterà nei prossimi giorni a Oliveto Citra (Salerno) nell’ambito delle iniziative per il Premio Sele d’Oro giunto alla sua 40esima edizione, tra i più qualificati eventi rivolti allo studio e alla promozione del Mezzogiorno. Si tratta, come l’autore afferma, di una proposta “laica” e dunque libera dal peso delle ideologie e dal condizionamento dei partiti.
La tesi si salda con quanto detto dal governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta al Meeting di Rimini dove, sollecitato da una domanda, ha dovuto ammettere che i tempi sono tali da far prefigurare un aumento dell’intervento pubblico nella vita economica a causa del sopravvenire di shock inattesi – pandemia, guerre – e della conseguente necessità di approntare rimedi collettivi.
Si tratta, in breve, di stabilizzare il sistema preservando il bene insostituibile della fiducia che, solo, può indurre gli imprenditori a investire nonostante un futuro che comunque si presenta incerto. Le due mani, quella visibile dello Stato e quella invisibile del Mercato, devono stringersi in un patto per lo sviluppo ciascuna comprendendo e rispettando le ragioni dell’altra.
Certo, è più facile scriverlo che realizzarlo. Ma è importante poter contare su una cornice concettuale all’interno della quale inserire scelte e comportamenti reali che influiranno sul buon esito del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e dunque sulla creazione di ricchezza, sul livello di occupazione, sulla possibilità di fare le riforme che servono e di contenere il debito.
Un altro tema di attualità che sarà affrontato nelle giornate di riflessione legate al Sele d’Oro riguarda l’autonomia differenziata nei suoi aspetti pratici e culturali. Anche in questo caso si partirà da un punto di vista originale che possa saldare le istanze di maggiore libertà avanzate da una certa parte del Nord con l’esigenza di tenere unito il Paese senza consentire prevaricazioni.
La teoria al centro dell’attenzione è quella della “virgola di ponente” o, meglio, delle due virgole “di ponente e di levante”, avanzata qualche anno fa da uno dei più brillanti economisti di fede meridionalista, Massimo Lo Cicero, scomparso di recente proprio mentre con il suo slancio e le sue idee avrebbe potuto influenzare in maniera positiva l’aspro confronto in atto.
Lo Cicero suggerisce di saldare il Nord al Sud, e viceversa, attraverso collegamenti verticali tra Regioni che in qualche modo si somigliano per la tipologia degli apparati industriali che, connessi, possono sprigionare nuova energia e grandi opportunità di crescita. Capirsi invece che guardarsi in cagnesco, allearsi invece che combattersi, fare affari insieme invece che ostacolarsi.
La Campania, con l’eventuale aggiunta di Calabria e Basilicata, si potrebbe unire con il Piemonte e la Liguria creando un ponte di convenienze sul quale far passare idee, brevetti, prodotti, persone, successi comuni (virgola di ponente). E la Puglia, sul versante orientale, potrebbe agganciare la Lombardia con lo stesso spirito e il medesimo obiettivo (virgola di levante).
Si potrebbe così ovviare alla frammentazione del Paese in venti piccole patrie e realizzare al loro posto cinque o sei macroregioni tenute insieme da solide bretelle che impediscono di fatto la frattura orizzontale Nord- Sud, funzionando anche da piste per collegare l’Europa al Mediterraneo e all’Africa. Un modo di stare al gioco da protagonisti. Tutti insieme.
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