Il Consiglio dei ministri ha approvato il Ddl sull’autonomia differenziata. Vogliamo superare le diversità, ha detto in conferenza stampa il ministro Calderoli, che parla di giorno storico e auspica l’approvazione della legge entro il 2023. Per Conte (M5s) invece l’unità del Paese è stata “svenduta per le regionali”, mentre le anime del Pd ritrovano una sintesi nell’opporsi al Ddl governativo.



Secondo Stelio Mangiameli, ordinario di diritto costituzionale nell’Università di Teramo, esperto di regionalismo al quale è da sempre favorevole, siamo all’inizio – positivo – di un lungo percorso, sul quale si è perso tanto tempo anche a causa del “qualunquismo” della sinistra. Due rilievi vanno invece al disegno di legge e riguardano i Lep (livelli essenziali delle prestazioni) e il ruolo dello Stato.



Che importanza dobbiamo attribuire al Ddl approvato dal Consiglio dei ministri?

L’approvazione segna un momento di chiarezza nella posizione della maggioranza e consente alle opposizioni di esercitare le loro critiche anche al fine di un miglioramento del testo. Non penso infatti che le opposizioni possano dirsi contrarie in via di principio al Ddl in questione.

E perché? Il loro è un no netto.

Il fatto è che l’idea, un po’ singolare, di approvare una legge di disciplina dell’art. 116, comma 3, Cost., confondendo le basi giuridiche della differenziazione amministrativa rispetto all’asimmetria legislativa, è stata un’invenzione del ministro Boccia ai tempi del governo giallorosso, dietro la quale si è infilata anche la ministra Gelmini durante il governo Draghi.



La fermo subito, ci spieghi meglio.

Il 116, co. 3 è l’asimmetria legislativa; il 118, co. 2 è la differenziazione amministrativa. Nel Ddl le due basi giuridiche sono sovrapposte. È stata una responsabilità di Bressa (sottosegretario alle Autonomie con Renzi e Gentiloni, ndr) con le pre-intese, tutti gli altri lo hanno seguito.

Riprendiamo il filo.

A parte la chiarezza che deriva dalla possibilità di discutere su un testo licenziato dal Governo, siamo ancora ben lontani dal poter considerare questo atto risolutivo. Troppe volte, quando si è trattato di Regioni, i Ddl sono finiti nel nulla e persino le leggi sono state accantonate, come se non fossero state votate.

A cosa pensa nello specifico?

Penso in particolare all’indecorosa condotta di tutte le forze politiche sulla legislazione del federalismo fiscale, che sarebbe tanto utile in questo momento. La legge 42/2009 fu approvata con un’amplissima maggioranza e il concorso dell’opposizione, in due anni furono approvati tutti i decreti legislativi, compreso il n. 68 del 2011 che riguarda le Regioni, e l’entrata in vigore a tutt’oggi è procrastinata nel tempo. Dunque nel caso del Ddl sul regionalismo differenziato direi che siamo proprio alle prime battute.

Gli avversari parlano di “accelerazione ignobile” (Emiliano) o di testo che doveva passare prima in Conferenza Stato-Regioni (Schlein e Boccia). Landini è in linea. 

Mi sembrano argomenti pretestuosi che non entrano nel merito della proposta legislativa e trovano il loro fondamento nel tipo di opposizione al governo e alla maggioranza che il Pd sta scegliendo.

Vale a dire?

Che significa accelerazione ignobile? Stiamo parlando di autonomia dal 2015 e anche Emiliano voleva presentare una proposta della Regione Puglia. Ha avuto tutto il tempo per farlo. Perché dovrebbe passare dalla Conferenza? Si tratta di una disciplina che prevede il trasferimento di funzioni amministrative, a torto o a ragione, trattenute dallo Stato e il Governo ha investito con il Ddl il Parlamento nazionale, centro della democrazia e della sovranità nazionale.

Come mai la riforma regionalista si è politicizzata così tanto?

Questa non è politicizzazione eccessiva, è qualunquismo. Sino a quando il boccino del Ddl era nelle mani del Pd o comunque il Pd avrebbe potuto condizionarlo, come durante il governo Draghi, allora l’argomento regionalismo differenziato era sul terreno politico; adesso che i numeri parlamentari hanno reso poco significativo il Pd, il regionalismo dovrebbe sparire dalla scena politica. È la sindrome del bambino che ha perso un gioco e non vuole che neppure gli altri abbiano lo stesso gioco.

La cosa singolare è che anche il “regionalista” Bonaccini, che nel 2017 volle l’accordo preliminare, adesso è contrario.

Bonaccini non fa una bella figura, né da presidente di Regione, né da candidato alla segreteria del Pd. Ha sottoscritto con Bressa le pre-intese, ha partecipato durante il governo gialloverde alle trattative con uno specifico atto d’intesa per la sua Regione, si è accodato a Boccia e alla Gelmini. Ci spieghi cos’è cambiato oggi per essere contrario alla maggiore autonomia che la sua Regione potrebbe avere. Ma c’è un problema più importante.

Sarebbe?

Se il buongiorno si vede dal mattino, la maggioranza continua ad avere contro un’opposizione debole, anzi flaccida, mentre sarebbe utile un’opposizione forte e piena di idee sul regionalismo, sul divario, sulla collaborazione Stato-Regioni. Farebbe un gran bene a questa maggioranza.

Per restare a sinistra, Cuperlo ha detto: “ricordiamoci che il Titolo V venne votato dal centrosinistra pensando in quel modo di sgambettare il federalismo-secessionismo leghista”. Dunque, se l’autonomia va in porto, vuol dire che siamo al secessionismo?

Mi sembra veramente inopportuno parlare di secessionismo oggi, visto che siamo in un momento di forte coesione nazionale a livello governativo e di maggioranza. La stessa Lega da partito regionale si è trasformata in partito nazionale e un ministro leghista, Matteo Salvini, sta proponendo il ponte sullo Stretto di Messina. Anche a questo si oppone Cuperlo? Il Ddl è un’offerta a tutte le Regioni del Nord, del Centro e del Sud.

Però ammetterà anche lei che non tutte le Regioni sono nelle stesse condizioni per ricevere le funzioni amministrative delle materie concorrenti.

Certo, e lo abbiamo detto più volte. Si chiama adeguatezza ed è uno dei tre principi previsti in Costituzione per il conferimento di funzioni amministrative, insieme alla sussidiarietà e alla differenziazione. Tuttavia, spetta allo Stato e non alle Regioni realizzare “la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali” (art. 120, comma 2, Cost.).

È una critica?

Sì, perché da questo punto di vista, nel Ddl, non è chiaro quali impegni assume lo Stato per salvaguardare livelli essenziali e tutela dell’unità giuridico-economica. C’è un articolo, sul punto, che fa riferimento alle Regioni che non accedono alla differenziazione, ma mi sembra che richieda diverse precisazioni, in termini di investimenti infrastrutturali e di perequazione per le Regioni del divario. Speriamo che nel percorso parlamentare la maggioranza e l’opposizione convergano su questo punto.

Altrimenti?

Altrimenti ai cittadini del Mezzogiorno risulterà evidente che sia i partiti di maggioranza sia quelli di opposizione sono interessati ai loro voti, ma come è accaduto dal 1992 fino ad oggi non hanno alcun interesse per lo sviluppo di quella parte dell’Italia; e questo è stato il maggiore errore dei governi, tutti i governi, che si sono succeduti dal 1994.

Una delle novità dello schema è che prima si determinano i misteriosi Lep e soltanto dopo si passa alla “attribuzione di funzioni relative alle ulteriori forme di autonomia” ex art. 116 co. 3 Cost. In questo modo, ha detto Calderoli, si garantiscono i diritti previsti dalla Costituzione. Cosa pensa in proposito?

La pretesa di fissare i Lep prima del trasferimento delle funzioni risale al ministro Boccia e il centrodestra sta mantenendo questo punto di vista. Anzi, nella legge di bilancio vi sono diverse disposizioni che annunciano la fissazione dei Lep in ogni caso. Adesso dirò una cosa che forse apparirà strana.

Prego.

Non basta fissare i Lep per essere certi che i diritti previsti dalla Costituzione siano garantiti, così come non basta che a gestirli sia lo Stato e non le Regioni perché tutti cittadini godano degli stessi servizi. Così come ci sono Regioni in condizioni diverse, vi sono almeno due Stati in Italia e questo spiegherebbe perché i servizi statali sono altrettanto diversi quanto i servizi gestiti dalle Regioni.

Questo cosa significa?

Vuol dire che tra la previsione legislativa e la realizzazione amministrativa c’è sempre uno iato e la garanzia delle prestazioni sociali non dipende dalla legislazione, bensì dalla capacità amministrativa. Quando questa manca a livello regionale, spetta allo Stato sostituirla. Ma come sappiamo, su questo lo Stato finora ha fallito, gestendo molto male il potere sostitutivo.

Quali sono adesso gli errori da evitare?

Gli schieramenti preconcetti nel dibattito parlamentare. Ma è anche l’errore che più probabilmente sarà commesso. A perdere non sarebbe la maggioranza o l’opposizione, ma il Paese.

(Federico Ferraù)

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