La Corte costituzionale si è pronunciata sulla costituzionalità della legge 86 del 2024 (“Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione”) a seguito di ricorsi in via diretta da parte di alcune Regioni contrarie alle scelte del Parlamento nazionale di regolamentare il procedimento previsto, nelle sue linee fondamentali, dall’art. 116, comma 3 della Costituzione.



La sentenza, secondo il comunicato stampa della Corte, adotta tre tipi di decisioni.

In primo luogo dichiara la non fondatezza della richiesta avanzata dai ricorrenti di dichiarare incostituzionale l’intera legge. In secondo luogo dichiara l’incostituzionalità di alcune norme della legge 86 e, in particolare, la possibilità che l’intesa tra lo Stato e la Regione, e la successiva legge di differenziazione, trasferiscano materie o ambiti di materie; il che è pienamente coerente con la natura della maggior parte delle materie che possono essere oggetto di devoluzione. Trattandosi, perlopiù, di materie concorrenti, la devoluzione non può modificare la funzione dello Stato centrale di determinarne i principi fondamentali; la dichiarazione di incostituzionalità dovrebbe riguardare le materie di competenza esclusiva (ad esempio l’organizzazione della giustizia di pace, le norme generali sull’istruzione e la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali). Il chiarimento potrebbe tuttavia essere quanto mai utile; esso, tra l’altro, riprende la prassi delle intese – almeno quelle fin qui ipotizzate e anche sottoscritte –, tutte orientate a chiedere specifiche funzioni, in prevalenza amministrative, cui connettere anche la funzione legislativa, sempre specificamente relativa a queste ultime. Tra l’altro, la natura specifica delle richieste regionali è coerente con le conseguenze finanziarie delle intese, che possono essere quantificate solo in presenza di richieste altrettanto specifiche.



Si distingue, in questo secondo gruppo di dichiarazioni di incostituzionalità, quella relativa al percorso, previsto dalla legge 86, per la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) relative ai diritti civili e sociali. Si tratta, come è noto, di una materia di competenza esclusiva dello Stato centrale, che non può essere per definizione devoluta alle Regioni, neppure per tramite delle intese di cui all’art. 116, comma 3. La Corte afferma che l’art. 3 della legge sottoposta al suo esame non esplicita i principi e i criteri direttivi per l’emanazione del decreto legislativo con cui devono essere definiti detti livelli essenziali. All’evidenza, secondo la Corte, quanto stabilito dall’art. 1, comma 791 (secondo cui “ai fini … del pieno superamento dei divari territoriali nel godimento delle prestazioni, il presente comma e i commi da 792 a 798 disciplinano la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti in tutto il territorio nazionale, … quale soglia di spesa costituzionalmente necessaria, che costituisce nucleo invalicabile per erogare le prestazioni sociali di natura fondamentale, per assicurare uno svolgimento leale e trasparente dei rapporti finanziari tra lo Stato e le autonomie territoriali, … e il pieno superamento dei divari territoriali nel godimento delle prestazioni inerenti ai diritti civili e sociali”) sia da considerarsi espressione di principi e criteri direttivi insufficiente ai fini della determinazione, tramite decreto legislativo, di detti livelli. Andrà pertanto rivista la norma dell’art. 3, specificando quali siano i principi e criteri direttivi in modo che siano diversi e, in ipotesi, più espliciti e concreti di quanto stabilito fin qui.



La Corte precisa poi, in coerenza con quanto in precedenza stabilito, che non si può procedere a definire direttamente e, in seguito, a modificare con decreto del presidente del Consiglio (Dpcm), i LEP. Essendo i LEP normative molto specifiche, assai complesse, ampie e differenziate (si pensi ai LEP definiti in sanità) quanto la Corte suggerisce è che il sistema delle fonti, in materia, dovrà prevedere una legge-delega contenente principi e criteri direttivi, un decreto legislativo attuativo dei principi stessi, mentre è dubbio che possa essere previsto che un ulteriore atto normativo di natura regolamentare completi il processo definitorio fino al dettaglio delle singole prestazioni dovute ai cittadini. Tale dichiarazione non dovrebbe comportare – salvo un’attenta lettura delle motivazioni della sentenza – che gli attuali processi definitori seguiti per la determinazione dei LEP, ad esempio in materia sanitaria, siano da considerarsi costituzionalmente illegittimi.

Sono infine dichiarate costituzionalmente illegittime le norme di natura finanziaria relative alla modifica, con decreto interministeriale, delle aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali, prevista per finanziare le funzioni trasferite, in caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e l’andamento dello stesso gettito, nonché alcune norme relative alle Regioni a statuto speciale, le quali dispongono già di un procedimento ad esse riservato per ottenere maggiori funzioni e i relativi finanziamenti.

La terza parte della sentenza offre una lettura costituzionalmente conforme di alcune norme della legge in esame su cui erano stati sollevati dubbi interpretativi da parte della dottrina.

Come è giusto che sia, tale sentenza dovrà essere considerata un punto di riferimento per l’ulteriore dibattito in materia, anche facilitando percorsi che favoriscano – come dice la Corte – l’efficienza del sistema Paese, a cui anche la differenziazione può, a determinate condizioni, dare il suo non secondario contributo.

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