Nelle autopsie la chiave del mistero coronavirus, eppure finora sono state sconsigliate dal ministero della Salute. «Non si dovrebbe procedere all’esecuzione di autopsie o riscontri diagnostici nei casi conclamati di COVID-19, sia se deceduti in corso di ricovero presso un reparto ospedaliero sia se deceduti presso il proprio domicilio», era stato scritto in una circolare. Non un divieto, ma un’indicazione, che comunque è stata contestata da medici e ricercatori. Questo a causa del rischio per medici legali e anatomopatologi di entrare in contatto con il Covid-19 e di ammalarsi. Ne ha parlato sulle colonne del periodico “Sanità Informazione” il professor Cristoforo Pomara, direttore della cattedra di Medicina Legale dell’Università degli Studi di Catania e autore di un trattato di tecniche autoptiche forensi studiato in tutto il mondo.



Il vero rischio lo hanno corso i medici che sono andati in trincea. Noi siamo i medici delle retrovie. Quelli che hanno tutta la possibilità e il tempo di organizzarsi sul cadavere con le dovute misure di sicurezza”. Eppure, per l’intera fase emergenziale le autopsie nei casi di Coronavirus sono state trattate con diffidenza dal ministero della Salute attraverso le sue circolari, l’ultima delle quali datata 4 maggio: “Secondo quanto scritto – ha proseguito Pomara – non si dovrebbe procedere all’esecuzione di autopsie o riscontri diagnostici nei casi conclamati di Covid-19, sia se deceduti in corso di ricovero presso un reparto ospedaliero, sia se deceduti presso il proprio domicilio”.



AUTOPSIE SCONSIGLIATE SU MORTI COVID, “UNO SPRECO DI VITE”

Queste restrizioni, a giudizio del professor Pomara, avrebbero dovuto essere documentate scientificamente e rappresentano, di per sé, una contraddizione: “In passato sono state eseguite autopsie su persone infettate dal prione della ‘mucca pazza’, un agente infettivo proteico non convenzionale, davvero terribile, e ora non si stanno facendo sul Covid-19. È assurdo”. Pensare che disporre di dati autoptici relativi ai morti di Coronavirus sarebbe stato di estrema utilità, in particolare durante le battute d’esordio della pandemia, dal momento che non tutti i pazienti sono deceduti per la polmonite. “Noi abbiamo studiato la letteratura internazionale – spiega il docente – e pochissimi autori avevano affrontato il problema della diagnosi di morte attraverso lo studio autoptico. Tutti si sono concentrati su quelli che erano i referti clinici. Alla fine il virus ha avuto manifestazioni più aggressive, colpiva le basse vie aeree con una tale carica virale da portare i pazienti in rianimazione: alcuni ce la facevano e altri no. A questo punto doveva subentrare l’importanza di un esame autoptico o di un’autopsia a fini diagnostici che aiutasse a comprendere quello che stava succedendo”.



Ora però le cose sono cambiate: i medici legali possono tornare ad effettuare le autopsie sulle vittime di Covid-19. Lo ha deciso il ministero della Salute con una nuova circolare che aggiorna le precedenti disposizioni. Nel documento, firmato dal direttore generale Prevenzione, Gianni Rezza, è precisato che l’autopsia deve essere «svolta, anche in questa seconda fase emergenziale, con l’applicazione rigorosa dei protocolli di sicurezza». E ciò vale sia per coloro i quali siano morti nel proprio domicilio. Una decisione tardiva per Giulia Grillo, ex ministro della Salute e deputata M5s. «È sicuramente un passo avanti, visto il punto di partenza, ma c’è stato un eccesso di prudenza», ha dichiarato ad Affaritaliani. Maria Rita Gismondo, direttrice del laboratorio di micro biologia clinica, virologia e diagnostica delle bio emergenze dell’ospedale Sacco di Milano, attacca: «Adesso c’è tutto un movimento importante di tanti clinici che hanno sottolineato come sia stato uno spreco enorme non aver fatto le autopsie».