Ieri il Financial Times ha potuto dare ai suoi lettori la notizia dell’interessamento formale di ACS, il cui principale azionista è Florentino Perez, per Autostrade per l’Italia con un’offerta da 10 miliardi di euro. Il quotidiano della city ha potuto visionare una lettera in cui ACS scrive ad Atlantia che “ASPI è un asset molto interessante che si inserisce perfettamente nella strategia di lungo termine di ACS”. In serata è poi arrivata la conferma dell’interessamento di ACS con un comunicato di Atlantia. 



Già nei giorni scorsi l’imprenditore spagnolo nel corso di una conference call con investitori e azionisti aveva espresso la possibilità di un intervento su ASPI in un’ottica di alleanza con Atlantia. Atlantia e ACS, ricordiamo, sono socie di Abertis dopo l’opa per cassa promossa da Atlantia; Atlantia controlla una quota superiore al 50%, mentre le azioni restanti sono controllate da ACS e dalla tedesca Hochtief. Abertis conosce il mercato italiano essendo dal 2016 l’azionista di maggioranza dell’autostrada “Serenissima”.



La notizia è seria sia per le dichiarazioni di Florentino Perez, sia per la lettera esaminata dal Financial Times e la conferma di Atlantia, sia perché ACS ha appena venduto per quasi cinque miliardi di euro la propria divisione nell’energia ai francesi di Vinci. A questo punto bisogna considerare diversi livelli che si incrociano nella vicenda ASPI e Atlantia e poi nell’offerta di ACS.

Proprio in questi giorni il cda di Atlantia si dovrebbe esprimere sull’offerta di CDP che, secondo la stampa, valuta ASPI circa 9,1 miliardi di euro. Gli advisor di Atlantia suggerivano invece una valutazione intorno a 11 miliardi di euro. Il gruppo senza ASPI subirebbe un cambiamento radicale; senza i dividendi, generosissimi, prodotti da ASPI nell’ultimo decennio sarebbero state impossibili le acquisizioni per cassa fatte in giro per il mondo. A partire da Abertis, certamente la principale, ma non solo. Senza ASPI il gruppo sarebbe molto diverso e, per esempio, difficilmente si potrebbe considerare italiano perché gli asset principali sarebbero le autostrade spagnole e francesi di Abertis.



La questione di ASPI, a sua volta, è completamente assorbita dalle conseguenze del crollo del ponte di Genova e dal quadro, non esaltante, emerso dalle indagini e dalle intercettazioni. Il tutto è complicato da uno schema di concessione blindato in cui, in sostanza, non sarebbe possibile una revoca senza corrispondere un prezzo pieno nemmeno nei casi più estremi. 

In questa situazione dopo quasi tre anni di tira e molla con il Governo italiano e a pochissimi giorni da un’ipotetica conclusione con CDP si inserisce ACS che offre un miliardo di euro in più della cordata “italiana”. Il cambio di azionista probabilmente farebbe bene alla “polemica” con il Governo perché liberebbe la società di un parte del “peso” emerso dalle indagini e dalle intercettazioni che hanno coinvolto anche gli azionisti. Questo forse spiega anche il prezzo al rialzo che si potrebbe permettere di offrire un nuovo azionista non italiano.

In un mondo normale, ma soprattutto nello scenario attuale di ASPI “post-Genova”, prima di comprare il principale concessionario del Paese “si passerebbe” dalla politica e dal Governo. L’azionista di riferimento del principale asset infrastrutturale del Paese è importante come garanzia di competenza, di buona gestione e di investimenti. In sostanza è impensabile che ACS possa fare una puntata del genere senza un disco verde della “politica” nel senso più alto del termine; a meno che si pensi che il concedente italiano, tutto sommato con qualche ragione, sia completamente indifferente alla sorte delle sue infrastrutture.

Concludiamo con l’ultimo punto. Dal punto di vista del sistema Paese chi sia azionista degli asset strategici è certamente fondamentale, ma è altrettanto importante che il sistema sappia controllare il concessionario nelle manutenzioni, negli investimenti e nella gestione in generale. Altrimenti anche il migliore degli azionisti rischia di venire corrotto dal possesso di un asset strategico in regime di monopolio. L’Italia è stato uno dei più generosi concedenti al mondo in termini di rendimenti ai concessionari. La prova è nelle acquisizioni fatte dai concessionari italiani in giro per il mondo nonostante un’economia che sottoperforma da due decenni gli altri Paesi industrializzati, europei e non. La qualità delle manutenzioni sulla rete forse non è stata sempre all’altezza dei rendimenti che si sono lasciati ai concessionari. Non si può quindi pensare di risolvere il problema solamente con un cambio di azionista. 

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