La decisione “spintanea” della famiglia Benetton di rinunciare a essere l’azionista di riferimento di Aspi, ha evitato il rischio di un interminabile contenzioso giuridico sulla legittimità di un’eventuale revoca della concessione in atto e sul valore della remunerazione del capitale da attribuire agli azionisti espropriati. Ma non ha affatto risolto i problemi di fondo emersi a seguito della tragedia del ponte Morandi: le responsabilità oggettive di quanto accaduto, l’attribuzione degli oneri del risarcimento dei danni diretti e indiretti provocati, la revisione di una concessione che presenta significative anomalie destinate ad alterare il corretto rapporto tra il concedente e il concessionario.
L’uscita dei Benetton soddisfa le brame di coloro che sin dall’inizio hanno intravisto l’occasione per pilotare, a furor di popolo, una sorta di vendetta dello Stato nei confronti del bieco capitalista senza scrupoli. Trascurando le più elementari regole del diritto anche al prezzo dei danni ingenti che questa ipotesi avrebbe potuto comportare per l’erario e per la continuità della gestione della rete autostradale. La soluzione adottata dal Governo ha il pregio di aver evitato questo rischio, non di aver risolto il complesso dei problemi.
Procediamo con ordine. L’entità del risarcimento dei danni per le persone e per la collettività, non solo dei 3,4 miliardi attualmente messi a carico di Aspi per gli oneri della ricostruzione del ponte, le opere di allacciamento e i primi risarcimenti delle persone, verrà stabilita nei diversi gradi di giudizio della Magistratura. Con oneri che dovranno essere in gran parte sostenuti da una Aspi nel frattempo passata sotto il controllo pubblico. Senza trascurare il fatto, tutt’altro che marginale, che anche gli stessi organi dello Stato sono indagati per l’omissione degli obblighi di controllo della manutenzione del ponte Morandi.
È ragionevole ritenere che i Benetton intendano chiudere le loro obbligazioni nell’ambito della intesa che viene ipotizzata per la cessione di una parte delle loro quote azionarie alla Cassa depositi e prestiti e con successiva fuoriuscita di Atlantia, l’attuale azionista di maggioranza, da Aspi. Salvo che sia la stessa magistratura a individuare, cosa assai improbabile, delle responsabilità penali degli azionisti pro tempore riguardo i fatti in questione. Ma la valutazione finale della qualità dell’intera operazione, anche per le ricadute sui cittadini nella qualità di contribuenti o di utenti del servizio, dipenderà dalla natura della nuova concessione. Che nella nuova condizione dovrebbe essere sottoscritta dallo Stato con una sua società controllata.
La concessione in essere viene giustamente criticata per lo squilibrio di poteri che intercorrono tra il concedente e il concessionario, responsabile quest’ultimo della gestione dell’infrastruttura e dei servizi e delle informazioni disponibili per assumere decisioni. E per l’eccessiva remunerazione che si è determinata nel tempo per i capitali effettivamente investiti dagli azionisti. Tale remunerazione, per circa il 10%, viene prevista formalmente. Ma si è di fatto incrementata per effetto del finanziamento anticipato delle future opere di manutenzione ordinaria, straordinaria e di ampliamento della rete, previsto con gli aumenti delle tariffe. L’attuazione di queste opere, in particolare per la parte della manutenzione straordinaria e degli ampliamenti della rete autostradale, dipende soprattutto da ulteriori decisioni delle amministrazioni pubbliche, che come noto non sono particolarmente solerti nell’assumere decisioni.
La conseguenza pratica del perenne ritardo nell’attuazione delle opere previste si traduce in una riduzione degli investimenti e in un indebito aumento dei margini di redditività della società di gestione.
Il tema era noto anche prima della privatizzazione. Gli incrementi delle tariffe, e i dividendi della società Autostrade, consentivano all’Iri di ripianare in parte le perdite delle altre partecipate. Data la condizione di monopolio della rete autostradale, sarebbe stato saggio precedere la privatizzazione con una separazione della gestione delle infrastrutture della rete autostradale, e della responsabilità di gestire le opere straordinarie e gli ampliamenti, da quella della gestione del servizio per il traffico. Mantenendo la prima nell’ambito di una società controllata dallo Stato, in modo analogo a quanto fatto, ad esempio, per la rete elettrica e, almeno in parte, per le telecomunicazioni.
Questa tesi, a suo tempo sostenuta da diversi opinionisti ed esperti, venne trascurata per privilegiare quella del concessionario unico. Da individuare con la formazione di un nucleo di controllo di imprenditori italiani e che, in quanto tale, doveva essere facilitato per le condizioni di acquisto e di gestione della società. Una tesi destinata a generare guai infiniti per i contribuenti italiani, vedi in particolare la vicenda Alitalia. Nel caso delle Autostrade a consentire ai Benetton di acquistare la società con il classico gioco delle scatole cinesi. Una quota del 30% di una società, Atlantia, che a sua volta acquisisce la maggioranza di Aspi. In pratica acquistando Autostrade con i soldi delle Autostrade.
L’uscita dei Benetton non risolve affatto il problema. Se si vogliono ridurre progressivamente le tariffe e aumentare gli investimenti, come promesso dal Governo e dalla stessa Aspi versione Atlantia/Benetton, la redditività della società è destinata a diminuire. A maggior ragione se, con una nuova concessione, la remunerazione degli investimenti venga effettuata in relazione agli stati di avanzamento reali e non sulla mera previsione degli stessi.
In questo modo sarebbero tutelati gli interessi degli utenti, non quelli dei contribuenti. L’investimento dello Stato si rivelerebbe per quello che è: un inutile esborso di capitali per acquisire la maggioranza di una società che nel frattempo, complici le vicende descritte e l’emergenza Covid, ha registrato un forte aumento dell’indebitamento, fino a 10 miliardi, e che deve farsi carico dei risarcimenti del ponte Morandi. Il tutto per ottenere dei potenziali risultati che erano alla portata di mano con la revisione della concessione e la messa in carico degli oneri ai vecchi azionisti.
Probabilmente il tutto si risolverà nella vecchia maniera, lasciando correre le tariffe o aumentando i debiti. Fatto fuori il Benetton gabbato lo santo. Con buona pace dei cittadini che festeggiano per essere tornati proprietari delle Autostrade d’Italia.