L’avvocata iraniana Nasrin Sotoudeh è stata condannata a 33 anni di reclusione, di cui però ne dovrà scontare “solo” 12 per aver difeso i diritti civili e politici, nonché quelli di molte donne, e per aver fatto propaganda contro lo Stato. Come era già emerso lo scorso marzo, a confermare la condanna nelle ultime ore è arrivato anche il marito dell’attivista, Renza Khandan, che ha ricordato come la pena per un totale di sette capi di imputazione prevede anche 148 frustate per la donna: succede anche questo nell’Iran dell’ayatollah, nonostante la Sotoudeh sia un personaggio di chiara fama internazionale (nel 2012 vinse il Premio Sakharov) e in suo soccorso si siano mosse diverse autorità politiche e associazioni internazionali, non ultima Amnesty International che commentando la sentenza ha parlato di un fatto “sconcertante”, ribadendo che l’unica colpa dell’avvocatessa sia stata in realtà quella di aver difeso e chiesto il rispetto dei più elementari diritti politici e civili. Come è noto, la delirante sentenza che la condannava tra le accuse annoverava pure quelle di “istigazione alla prostituzione” e di essersi macchiata della colpa di una apparizione in pubblico senza il velo.
LA CONDANNA E GLI APPELLI INTERNAZIONALI
Dopo il nuovo appello del marito a favore della moglie Nasrin, in carcere oramai da quasi un anno (vi è entrata nel giugno del 2018), si è anche appresso che la stessa Sotoudeh non ha voluto polemicamente presentare ricorso contro la sentenza entro i 20 giorni che la legge le consentiva, contestando di fatto quel verdetto anche se di quei 33 anni ne dovrà scontare 12 che fanno riferimento alle pena relativa al reato più grave che le è stato contestato. Intanto tornano a moltiplicarsi le iniziative a sostegno dell’avvocatessa: “Adesso moltiplicheremo i nostri sforzi affinché si possa trovare una soluzione extragiudiziale” ha spiegato Riccardo Noury, portavoce italiano di Amnesty International che ha fatto sapere di voler perseguire ancora la strada dell’annullamento della condanna. Tuttavia, fino ad ora, né la mobilitazione tramite i social network e le petizioni online, né tantomeno il tentativo di intercessione col presidente Hassan Rouhani da parte di Emmanuel Macron, sembrano aver prodotti purtroppo effetti concreti.