Nonostante siano passati trent’anni dalla morte di Ayrton Senna, a colpire di lui non è solo l’incredibile talento, ma anche la sua profonda devozione al cattolicesimo. Il pilota, di cui si parla oggi a Gioco Sporco su Italia 1, aveva un rapporto profondo con la religione, “ereditato” dalla sua famiglia, in particolare da sua madre che però era di fede evangelica. Il campione della Formula 1 era così legato alla Bibbia da portarla sempre con sé, in modo tale che potesse leggerla appena ne aveva occasione.



In molti ricordano un’intervista in cui rivelò di aver visto Dio vicino a lui sulla griglia di partenza del Gp del Giappone del 1988. Fu quella la prima occasione in cui parlò della sua fede: spiegò della difficoltà di parlare con Dio e sentirlo e del privilegio che sentiva di avere nell’aver fatto questa esperienza. All’ultimo giro cominciò a ringraziare e sentì la sua presenza: «L’ho visualizzato, l’ho visto, è stata una cosa speciale nella mia vita, una sensazione enorme. È un fatto che ho inciso nella la mia memoria e che porto dentro di me».



LA “PROFEZIA” PRIMA DELL’INCIDENTE MORTALE

Invece poche ore prima del tragico incidente che gli è costato la vita lesse un passo che diceva: «Oggi Dio ti farà il suo dono più grande, Dio stesso». Non deve stupire allora che sulla lapide al cimitero di Morumbi, in Brasile, ci sia una citazione religiosa: «Niente mi può separare dall’amore di Dio». Lo scrittore Manish Pandey, che nel 2010 ha prodotto un toccante docu-film su Senna, testimoniò la devozione del fuoriclasse, rivelando che nonostante lui fosse indù, l’altro produttore cristiano e il regista musulmano, decisero comunque di raccontare questa parte della sua vita, perché altrimenti «la storia di Ayrton sarebbe stata incompleta senza questo pilastro monumentale della sua vita».



Sulla religione, tra l’altro, Ayrton Senna veniva spesso frainteso, tanto che riceveva critiche anche pungenti per la sua fede in Dio. Ad esempio, ci fu un botta e risposta con Proust dopo Suzuka 1989 perché il francese dichiarò che il collega era convinto di poter guidare mettendo a rischio la sua vita proprio perché credeva in Dio. Ma Ayrton Senna sapeva di non essere immortale: «Solo perché credo in Dio e ho fede in Lui non significa che sono immune dai pericoli». Eppure, la fede di Senna non era ostentata, anche se mai nascosta.

COME AYRTON SENNA HA PORTATO DIO IN PISTA

Comunque, Ayrton Senna l’aveva maturata proprio sulle piste di Formula 1, non quando trionfava, ma quando falliva. Infatti, nella gara di Monaco del 1988 fece un errore banale che gli costò la vittoria: proprio in quella circostanza sentì la vicinanza di Dio. «Non è stato solo un errore di guida. L’incidente è stato solo un segno del fatto che Dio era lì ad aspettarmi per darmi la mano», raccontò il brasiliano. Ma percepì quella presenza anche a Suzuka, quando vinse il suo primo Mondiale di F1: «Ho visto Dio. Una sensazione indescrivibile».

Fa specie poi pensare che il giorno dell’incidente mortale Ayrton Senna non volesse gareggiare, perché il giorno prima era morto Ratzenberger. Ma al mattino si svegliò, aprì la Bibbia come faceva spesso e lesse un testo che commentò con la sorella Viviane. Decise, quindi, di andare incontro al suo destino con la certezza di chi sapeva comunque di essere al sicuro. Infatti, dopo la sua morte fu trovato un biglietto dentro la sua tuta che sintetizzava perfettamente il suo rapporto con la fede: «Nessuno mi può togliere l’amore che Dio ha per me».