Adesso sarebbe addirittura diventata uno Stato fascista. Così ha definito l’Armenia il presidente dell’Azerbaijan, Ilham Aliyev, dopo che in passato ne aveva persino disconosciuto l’esistenza, sostenendo che in realtà si tratta di Azerbaijan occidentale. Di fronte a dichiarazioni del genere, e al fatto che i negoziati fra i due Paesi sui confini non finiscono mai, anche il Pentagono (secondo quanto riportato da Army Times) ipotizza una possibile guerra, voluta dagli azeri, tra il 2025 e il 2026. La piccola Armenia, racconta Pietro Kuciukian, attivista e saggista italiano di origine armena, console onorario dell’Armenia in Italia, anche per questo sta cercando sostegno militare accordandosi con altri Paesi, muovendosi pure in direzione dell’Unione Europea. Il presidente Nikol Pashinyan sta sforzandosi di risolvere tutto in via diplomatica in un’area che, per diversi motivi, interessa a molti Paesi stranieri, dell’area (Russia, Iran, Turchia) e non (USA e Cina). Ma deve fare i conti con un mondo in cui il ricorso alla forza sembra sempre più considerato. E un Azerbaijan che, grazie alla produzione e alla commercializzazione del gas, riesce a tenere in scacco diversi Paesi che non possono fare a meno della sua energia.
Il presidente dell’Azerbaijan, Ilham Aliyev, dice che “l’Armenia è essenzialmente uno Stato fascista e il fascismo deve essere distrutto. Sarà distrutto dalla leadership armena o da noi. Non abbiamo altra scelta”. E gli analisti del Pentagono prevedono un’operazione militare nel 2025-2026. Il rischio di un conflitto è sempre più alto?
Questo è un momento disgraziato. A livello mondiale ormai, al posto della politica, si preferisce l’uso della forza. Lo vediamo in Ucraina come in ambito mediorientale: anche l’Armenia è sotto attacco. La diplomazia non è più in auge come metodo per risolvere le controversie, basta vedere cosa sta dicendo Trump su Canada, Groenlandia e Panama. E queste esternazioni sull’uso della forza riguardano anche l’ambito Armenia-Azerbaijan.
In un contesto del genere, Aliyev, a oltre un anno dall’attacco in Nagorno Karabakh, si sente autorizzato a giustificare una guerra contro Yerevan?
Sicuramente è invogliato a prendere in considerazione questa opportunità. Finora non l’ha fatto anche perché, secondo me, la Turchia lo sta frenando un po’: Ankara ha interessi più globali. Però può darsi benissimo che gli azeri scatenino lo stesso un conflitto, anche se forse in questo momento neanche Aliyev lo sa.
Il presidente azero, tuttavia, ha alzato i toni contro l’Armenia. Rimane comunque un segnale preoccupante?
Non aveva mai detto che l’Armenia è uno Stato fascista, ma ormai tacciare di fascista l’avversario è di moda. Gli armeni, in realtà, non possono essere accusati di questo in nessun modo: cercano di mettersi d’accordo con tutto il mondo, con l’Europa, con la Russia, con l’America, vogliono mantenere buoni rapporti con tutti. Il fascismo in questo atteggiamento non ce lo vedo proprio.
Ma se Baku, Dio non voglia, prendesse veramente in considerazione l’idea di un conflitto, chi potrebbe incoraggiare gli azeri e chi invece frenarli?
Credo che ci siano poche possibilità che la Russia possa fare qualcosa. L’Armenia, però, si sta preoccupando della sua difesa e sta stringendo alleanze militari con Francia, Grecia e India. L’unica interferenza positiva che vedo possibile, tuttavia, potrebbe essere quella dell’Iran, che è molto interessato a conservare la situazione così com’è e quindi ad avere buoni rapporti anche con gli armeni, come è sempre successo. Fin dall’inizio, fin da quando si è disintegrata l’Unione Sovietica, l’unico aiuto dall’estero è venuto da Teheran. L’Iran, tuttavia, ha problemi con Israele che, tra l’altro, ha una base proprio in Azerbaijan, un elemento che rende ancora più complicata la situazione.
Paradossalmente, quindi, questa volta la Turchia potrebbe avere interesse a frenare un’operazione militare contro l’Armenia?
L’Armenia è così piccola che potrebbe essere conquistata non in una ma in mezza giornata: abbiamo visto cos’è successo al Nagorno Karabakh. La Turchia potrebbe non essere così interessata. Ciò che le converrebbe, invece, è avere un passaggio dal Nakhicevan (regione autonoma azera che non confina con il resto del territorio nazionale, nda) all’Azerbaijan, attraverso il famoso corridoio di Zangezur, che poi è un’invenzione degli azeri.
Un corridoio che interessa a molti.
L’esercito russo in quella zona controllava il confine fra Iran e Armenia, ma adesso si è ritirato in seguito a un accordo siglato dal presidente armeno Pashinyan. I russi si sono ritirati anche dall’aeroporto di Zvartnots, ma non ancora dal confine tra la Turchia e l’Armenia. La zona a sud del Zangezur è una zona cruciale per le due grandi vie di comunicazione Sud-Nord ed Est-Ovest. Alla prima è interessata anche la Cina e con lei l’Iran; al collegamento Ovest-Est, invece, è interessata la Turchia e, in un certo senso, l’America, perché potrebbe arrivare, se Ankara resta alleata, fino in Cina. Gli USA, tra l’altro, hanno rapporti con l’Armenia dal punto di vista militare.
In questo contesto, come si colloca l’iniziativa di Pashinyan di approvare un disegno di legge che traccia la strada per l’adesione all’Unione Europea?
Pashinyan ci sta andando con i piedi di piombo, anche perché la Russia, ogni volta che si sente parlare di Europa, ovviamente si irrigidisce. Finora l’Armenia è riuscita a mantenere la situazione in equilibrio, cosa per niente facile: abbiamo visto come sta andando a finire in Georgia. Non credo che si arrivi a quei livelli, Pashinyan è molto più avveduto, diplomaticamente più maturo. Siamo comunque in una situazione che potrebbe evolversi in maniera rapida, rapidissima, per cui quello che si dice oggi domani non vale.
Armenia e Azerbaijan, però, sono da tempo impegnate in trattative per i confini. Non c’è la possibilità che si raggiunga un accordo?
Sono negoziati che alla fine si prolungano sempre: non si arriva mai al dunque. Quando si giunge al momento di concludere, l’Azerbaijan esibisce nuove richieste. Hanno messo a posto in parte i confini, ma non tutto. Da parte azera ci sono continue provocazioni, probabilmente vorrebbero che gli armeni reagissero, che decidessero di adottare una linea più dura, così potrebbero attaccarli. Ma Yerevan cerca di superare le difficoltà diplomaticamente. Fino a che ci riesce.
(Paolo Rossetti)
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