Le grandi aziende tessili del settore “fast fashion” in Europa sono sempre più accusate di trarre grandi profitti dai bassi costi di produzione grazie allo sfruttamento dei lavoratori, che avviene in maniera sistematica soprattutto nelle grandi fabbriche del Sud Est asiatico. Un problema di mancato rispetto dei diritti umani che si sta affrontando in Commissione Europea con proposte per cercare di imporre un minimo standard di qualità e più controlli sulle procedure con sanzioni a garanzia del rispetto delle leggi internazionali. I grandi marchi di moda occidentali affermano di volersi impegnare per incentivare la legalità e il pagamento di un giusto salario ai lavoratori, con condizioni adeguate nei luoghi di produzione, ma questo spesso risulta impossibile a causa delle condizioni sociali e politiche imposte in alcuni paesi.



Come ad esempio accaduto recentemente in Bangladesh, quando il presidente di settore Shahidul Islam è stato assassinato in strada mentre usciva da uno stabilimento dopo essersi battuto per garantire ai dipendenti un’equa retribuzione. Ora, oltre alla sostenibilità dei materiali si sta pensando a una soluzione unificata per esportare un modello di qualità al quale dovranno attenersi tutti i prodotti importati.



Aziende tessili e diritti umani, Ue pensa a estendere modello tedesco di trasparenza

Il quotidiano Die Presse ha analizzato in un articolo le varie proposte della Commissione Europea per combattere le violazioni sui diritti umani compiute sistematicamente dalle industrie tessili in Asia. Una di queste potrebbe essere l’esportazione del modello tedesco, estendo la legge attualmente in vigore solo in Germania a tutto il resto d’Europa.

La legge in particolare prevede controlli stringenti su tutta la catena e maxi multe con sanzioni che arrivano fino al 2% del fatturato, o in alternativa otto milioni di euro, per chi non rispetta le regole. Questa normativa si è rivelata una strategia di successo per controllare la trasparenza applicata anche a grandi marchi come Puma e Adidas, che sono stati costretti a pagare specifici corsi di formazione ai dirigenti aziendali delle fabbriche in Cina e Vietnam per mettere in pratica le nuove norme imposte dal governo tedesco. Il Supply Chain Act potrebbe quindi presto essere esteso a tutti i paesi membri con un sistema di “tolleranza zero” per chi non garantirà il pieno rispetto di tutti i requisiti richiesti.